Sono scaduti il 13 agosto scorso i 120 giorni entro i quali il Ministero dell’Ambiente, di concerto con quello dello Sviluppo Economico, avrebbe dovuto stabilire mediante decreto i criteri per l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. Un ritardo di 20 anni, che si fa attendere cioè dai tempi del decreto Ronchi del 1997, al quale il Tar del Lazio aveva imposto di essere finalmente sanato attraverso una sentenza pubblicata il 13 aprile scorso.
Quattro mesi non sono bastati, e non ne sono bastati neppure altri due: se ne sono accorti anche in Parlamento, dove il sei ottobre scorso il deputato Alberto Zolezzi ha presentato come primo firmatario un’interrogazione ad entrambi i Ministeri coinvolti per sapere se e in quali tempi intendano dar seguito alla sentenza della Giustizia Amministrativa, fissando con l’atteso decreto limiti quantitativi oggettivi ed omogenei su tutto il territorio nazionale. Interrogazione ad oggi senza risposta.
Il Ministero dell’Ambiente, ad aprile, aveva iniziato a raccogliere le posizioni dei soggetti coinvolti per fare il punto su criticità ed interventi necessari: le posizioni vedono principalmente i Comuni contro le imprese, intese sia come attività economiche produttrici di rifiuti che spesso si trovano costrette a pagare tributi altissimi, sia come aziende che si occupano della raccolta e che vedono sottratte dalla privativa quantità importanti di materiali che potrebbero essere avviati a riciclo e trattamento, e quindi di una fetta di business.
Non a caso ad una prima bozza del decreto le amministrazioni locali, tramite l’Anci, nel mese di giugno scorso non hanno perso tempo per manifestare il proprio disapunto rispetto ad una misura che, fosse andata in porto con quelle premesse, avrebbe rischiato di abbattere quella che è ad oggi una delle principali voci di introito per le casse dei Comuni. Nella suddetta bozza, infatti, si introducevano criteri quantitativi che escludevano dalla privativa le attività che occupano più di 300 metri quadrati nei Comuni con meno di 10 mila abitanti e quelle da oltre 500 metri quadrati nei Comuni con più di 10 mila abitanti. Nell’ottica dei Comuni c’è il rischio di creare squilibri e finire per provocare ulteriori aggravi sulla tassa rifiuti per i cittadini.
Ma nelle settimane successive anche le imprese dei riciclatori rappresentate nel Tairr (il tavolo interassociativo recupero e riciclo) hanno sollevato dei dubbi per le motivazioni opposte, e cioè che i limiti all’assimilazione fissati dalla bozza per determinate categorie di attività (nello specifico negozi, supermercati e ipermercati) fossero troppo laschi, e cioè che la scrittura della norma richiedesse una determinazione dei limiti per ogni categoria di attività, rischiando in caso contrario di sottintendere che qualunque altra sarebbe finita automaticamente sotto l’ombrello della privativa.
Ci si aspettava che il tavolo di confronto andasse avanti in maniera produttiva, e, magari anche sforando la deadline fissata dal Tar del Lazio, mettesse i Ministeri in condizione di avere pronto un testo almeno dopo l’estate. E invece le richieste di miglioramento, a quanto pare, hanno unicamente determinato l’ennesimo ritardo.