Secondo Cassa Depositi e Prestiti, per raggiungere gli obiettivi europei al 2035 sull’economia circolare servono impianti per oltre 5 milioni di tonnellate, tra riciclo e termovalorizzazione (che “non disincentiva la differenziata”). Ma serve anche “un cambio culturale trasversale”
Per sviluppare una gestione dei rifiuti moderna ed efficiente che consenta di raggiungere gli obiettivi comunitari in tema di circolarità occorre realizzare nuovi impianti di recupero dei rifiuti con una capacità di trattamento complessiva di oltre 5 milioni di tonnellate. Lo scrive Cassa Depositi e Prestiti in un brief nel quale vengono passati in rassegna gli ostacoli da rimuovere per allineare il sistema nazionale di gestione dei rifiuti urbani ai target UE di circolarità al 2035, ovvero il 10% di smaltimento in discarica e il 65% di riciclo. Interventi da realizzare sia sfruttando le risorse del PNRR che i capitali privati, ma soprattutto promuovendo “un cambio culturale” per superare fenomeni NIMBY e NIMTO. Anche rispetto alla realizzazione di nuovi termovalorizzatori, che rappresentano “l’unica alternativa alla discarica per i rifiuti residui”.
L’Italia, sottolinea CDP, è ferma al 19% di discarica e al 50% di riciclo e dovrà “in particolare potenziare la dotazione impiantistica, soprattutto dove risulta insufficiente”. E soprattutto per le due frazioni più critiche, quelle dei rifiuti organici da raccolta differenziata e dei residui non riciclabili. Per la prima, i maggiori fabbisogni si concentrano nel Centro-Sud, in particolare in Campania, Lazio e Sicilia, che rappresentano la fetta principale del fabbisogno di trattamento di 2,4 milioni di tonnellate che si stima debba essere soddisfatto per raggiungere gli obiettivi al 2035. Colmare il gap, ricorda CDP, consentirebbe inoltre di abbattere gli extra-costi associati al trasporto dei rifiuti fuori regione, “che si riflettono in 75 milioni di euro di Tari aggiuntiva”.
Sia per l’organico che per le altre frazioni riciclabili dei rifiuti urbani, il contributo dei fondi del PNRR, pari a 2,1 miliardi di euro, sarà prezioso ma non determinante, visto che le risorse fin qui assegnate “tendono a concentrarsi, di fatto, in poche regioni” anche “per via del rapido esaurimento dei fondi riconducibile all’elevato valore medio dei singoli progetti”. La linea d’intervento da 450 milioni di euro per la realizzazione di nuovi impianti di riciclo, compresi quelli per l’organico, finanzierà ad esempio appena 28 delle oltre 480 proposte progettuali ritenute idonee. Ecco perché, chiarisce CDP, nel prossimo futuro “si rende inoltre opportuno favorire l’afflusso di ulteriori risorse, sia pubbliche sia private” e, sul fronte del PNRR, “velocizzare le procedure di autorizzazione e delle gare d’appalto” puntando sul rafforzamento delle competenze della pubblica amministrazione per rispettare il termine per la realizzazione degli interventi fissato al 2026.
Se per aumentare le percentuali di riciclo servirà realizzare nuovi impianti, anche per ridurre quelle del conferimento in discarica occorrerà dotare i territori in ritardo di nuove infrastrutture. E, nello specifico, di nuovi impianti di termovalorizzazione che, si legge nel brief, “continua a rappresentare l’unica alternativa alla discarica per i rifiuti residui, fintanto che la diffusione dell’eco-progettazione su larga scala non consentirà di ridurre al minimo la produzione di rifiuti non differenziabili”. Non a caso le sei regioni (Valle D’Aosta, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo e Sicilia) che non ricorrono al recupero energetico a causa della totale assenza impiantistica, “registrano tra i più elevati tassi di conferimento in discarica” ricorda CDP chiarendo come il recupero energetico “non costituisca un disincentivo alla raccolta differenziata che negli anni, al contrario, ha continuato ad aumentare”.
Complessivamente, per traguardare il target del 10% di discarica al 2035 servirà soddisfare un fabbisogno di circa 2,8 milioni di tonnellate, soprattutto in Sicilia, Veneto e Lazio. Cosa che, oltre ad allineare il Paese agli standard dei principali ‘peer’ europei, garantirebbe anche una produzione annua di energia elettrica pari a circa 2 milioni di MWh e di energia termica pari a 1,1 milioni di MWh, oltre a un taglio delle emissioni di 500mila tonnellate annue di CO2 per il minor consumo di combustibili fossili. Per passare dalle parole agli impianti, spiega però CDP, serve “un cambio culturale trasversale in seno a pubbliche amministrazioni, imprese e cittadini” che possa concorrere “alla prevenzione di fenomeni NIMBY e NIMTO che continuano a rappresentare un forte ostacolo alla realizzazione di investimenti infrastrutturali nel settore”.