Mancano pochi giorni all’entrata in vigore dei decreti di recepimento del pacchetto europeo di misure sull’economia circolare, ma il sistema nazionale di gestione dei rifiuti continua a scontare ritardi e criticità che rischiano di compromettere la corsa dell’Italia verso i nuovi, ambiziosi obiettivi di sostenibilità fissati dall’Ue. Lo sottolinea una indagine promossa da FISE Assoambiente e realizzata dal Laboratorio REF Ricerche e presentato oggi a Milano nel corso del “Il Verde e il Blu Festival”, in programma dal 25 al 27 settembre. “Per una Strategia Nazionale dei rifiuti – La strategia nazionale mette le gambe”, questo il titolo del dossier che ricorda come “poco o nulla sia stato fatto negli ultimi 18 mesi per migliorare la situazione del nostro Paese”.
«La pandemia – dichiara il presidente di Assoambiente Chicco Testa -ha prodotto una buona risposta da parte delle imprese dei rifiuti abituate ad agire in un contesto emergenziale, ma al contempo ha sottolineato le fragilità del sistema e i problemi di sicurezza per la gestione degli urbani, accentuati dal blocco dell’export da cui dipendono le filiere del recupero di materia. Oggi è ancora più necessario definire una Strategia Nazionale di gestione dei rifiuti che fornisca una visione nel medio-lungo periodo migliorando le attuali performance. Per farlo nei prossimi mesi abbiamo due irripetibili occasioni da cogliere: il piano di aiuti messo in campo dalla UE (Recovery Fund) e il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti da definire nei prossimi 18 mesi secondo quanto previsto dalla direttiva europea appena recepita».
Gli obiettivi fissati a livello europeo, si legge nel dossier, prevedono che entro il 2035 dovrà essere avviato a riciclo il 65% dei rifiuti (per farlo, al netto degli scarti dei processi di recupero, bisognerà portare la raccolta differenziata almeno all’80%) oggi siamo al 45%, in discarica il 10% (oggi siamo al 22%) e la restante parte dovrà essere avviata a recupero energetico, oggi siamo al 18%. Eppure negli ultimi 18 mesi in Italia, spiegano Ref e Assoambiente, è aumentata la produzione di rifiuti: +2% (+590mila ton) di rifiuti urbani rispetto al 2018, +3,3% (+4,6 mln/ton) di rifiuti speciali; sono diminuiti gli impianti di gestione: -396 impianti totali per gli speciali (meno impianti di incenerimento e di digestione anaerobica); sono aumentati i deficit regionali (a 2,2 mln/ton), quindi la movimentazione di rifiuti a recupero energetico/smaltimento; è cresciuto l’export di rifiuti: +31% (+110mila ton) per gli urbani, +14% (+420mila ton) per gli speciali; sono aumentati i costi di smaltimento: + 40%.
«Fare economia circolare – aggiunge Testa – significa disporre degli impianti di gestione dei rifiuti con capacità e dimensioni adeguate alla domanda. I nostri dati evidenziano come in Italia servano impianti di recupero (di materia e di energia), a partire dagli oltre 40 in grado di trattare la frazione organica, per finire con termovalorizzatori che possano gestire rifiuti urbani e speciali non riciclati. Un investimento complessivo che richiederà 10 mld di euro, interamente recuperabili da risorse finanziarie di mercato, garantite da una regolazione equa ed efficace. Abbiamo dinanzi a noi un’occasione unica, non possiamo mancarla».