«Un passo importante, per assicurare che le navi vengano riciclate in impianti sicuri per i lavoratori e compatibili con l’ambiente». Con queste parole la Commissione Ue ha accompagnato la pubblicazione del primo elenco europeo dei siti autorizzati al riciclo delle navi, redatto in attuazione del Regolamento 1257/2013 Ue sulla gestione del fine vita delle grandi imbarcazioni europee. Obiettivo del Regolamento, recita l’articolo 1, è quello di «prevenire, ridurre, minimizzare nonché, nella misura del possibile, eliminare gli incidenti, le lesioni e altri effetti negativi per la salute umana e per l’ambiente causati dal riciclaggio delle navi». Gli impianti censiti nell’elenco sono 18, tutti in Ue (nessuno in Italia), mentre nel corso del 2017 la Commissione dovrebbe pubblicare un elenco di siti autorizzati al di fuori dei confini dell’Unione. Proprio lo scorso marzo Bruxelles aveva diramato una comunicazione contenente ulteriori chiarimenti sugli standard richiesti agli impianti extraeuropei per essere inseriti nel censimento dei siti autorizzati.
Stando al Regolamento, entro il 31 dicembre 2018 tutte le navi battenti bandiera di uno dei 28 Stati membri dell’Unione, una volta giunte a fine vita, dovranno essere inviate a riciclo in un impianto preventivamente autorizzato. Oltre a normare le operazioni di riciclo nei cantieri del Vecchio Continente, le disposizioni Ue puntano a contrastare il fenomeno del “beaching”, ovvero lo smantellamento delle navi a fine vita sulle spiagge di Paesi extraeuropei – soprattutto nel sud-est asiatico – dove acciaio, metalli e tutto quanto possa essere rivenduto viene recuperato e trattato in assenza di qualsiasi forma di salvaguardia per la salute e la sicurezza dei lavoratori e per l’ambiente. Cosa che, va da sé, garantisce ad armatori e compagnie di navigazione un notevole margine di risparmio. Secondo la ong Shipbreaking Platform, delle 768 navi riciclate a livello globale nel 2015, ben 469 (il 74%) sono finite sulle spiagge di India, Pakistan e Bangladesh. Centotrentotto le navi europee “spiaggiate”, pari al 64% del totale e a più di un terzo del peso complessivo dei materiali recuperati nel 2015. Trentuno navi, all’atto dello spiaggiamento, battevano ancora bandiera Ue.
«L’elenco manda un segnale chiaro che è possibile sviluppare business e creare lavoro nel riciclo delle navi in maniera sicura e compatibile con l’ambiente, a cominciare dall’Europa – ha dichiarato il Commissario Ue all’Ambiente Karmenu Vella – con questa lista chiudiamo il cerchio dell’industria navale europea: queste navi sono spesso progettate e costruite in Europa. Possiamo occuparci anche del loro fine vita, e farlo in maniera rispettosa». Insieme con la lista, la Commissione ha adottato quattro ulteriori decisioni per migliorare l’accesso alle informazioni sui materiali pericolosi a bordo delle navi e facilitare il processo di riciclo. A partire dal 2020 tutte le imbarcazioni che entrano nei porti europei – indipendentemente dalla bandiera battuta – saranno obbligate a dotarsi di un Inventario dei materiali pericolosi. La misura, spiega la Commissione, punta a migliorare la qualità dei materiali riciclati, a vantaggio della cantieristica europea. Le navi battenti bandiera europea destinate allo smantellamento sono invece obbligate a dotarsi dell’Inventario a far data dalla pubblicazione della lista.