Il covid non frena il recupero di materia dai rifiuti: nel 2020 cresce il riciclo degli imballaggi e l’utilizzo di materia riciclata nei nuovi prodotti, scelta sempre più strategica per mettere in sicurezza le supply chain. Ma serve sostenere il mercato, dicono gli operatori, altrimenti le imprese sono destinate a chiudere
Le filiere italiane del riciclo hanno retto all’onda d’urto della pandemia, consolidando la propria leadership in Europa. Nonostante il calo nella produzione di rifiuti, tra lockdown e rallentamenti delle attività produttive, le raccolte differenziate e le quantità avviate a recupero di materia restano stabili, con punte d’eccellenza nel settore degli imballaggi. Cresce anche l’utilizzo di materia riciclata in sostituzione delle risorse vergini, collocandosi di gran lunga al di sopra della media Ue e diventando soluzione sempre più strategica per dare stabilità alle catene dell’approvvigionamento. Il 2020 non interrompe la transizione circolare del sistema italiano di gestione dei rifiuti, dice l’ultimo rapporto L’Italia del Riciclo, firmato da Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e FISE Unicircular. ”Il sistema italiano del riciclo dei rifiuti – conferma Edo Ronchi, presidente della Fondazione – che è un pilastro dell’economia circolare e importante anche per ridurre i consumi di energia e le emissioni di gas serra, ha tenuto bene nel 2020, l’anno più duro della pandemia. Ora può giocare un ruolo importante nella ripresa del Paese“.
I dati disponibili sul 2020 vedono il settore degli imballaggi confermare il proprio ruolo di eccellenza europea. Circa 9,6 i milioni di tonnellate avviati a recupero di materia, stabili rispetto al 2019, con un tasso di riciclo salito di tre punti al 73% dell’immesso al consumo e percentuali record per le principali filiere: carta (87%), vetro (79%), legno (62%), alluminio (69%), acciaio (80%) e plastica (49%;), con quest’ultima che resta l’unica a non aver già raggiunto i target vincolanti dell’Ue. Così come non centrano il target le filiere di Raee, veicoli fuori uso e pile. Nel 2020, spiega il rapporto, il tasso nazionale di raccolta dei Raee è stato pari al 38,4% dell’immesso al consumo, decisamente lontano dall’obiettivo del 65% previsto per il 2019.
Discorso simile riguarda i veicoli fuori uso, con un livello di recupero totale all’85%, distante dieci punti dal target Ue del 95% e frenato dal limitato ricorso al recupero energetico delle frazioni non riciclabili. Anche per pile e accumulatori portatili il tasso di raccolta si è fermato al 43%, due punti sotto il target previsto per il 2016. Una serie di Impasse che attengono più a nodi strutturali irrisolti nelle tre filiere che non agli effetti della pandemia. L’effetto covid si fa sentire invece sulle performance di riciclo degli pneumatici a fine vita, con la raccolta in calo di circa 60mila tonnellate per effetto della contrazione dell’acquisto di gomme nuove e il riciclo passato dal 57% al 41%. Il calo generalizzato dei consumi si riverbera anche sui quantitativi di oli minerali usati (-11% vs 2019) e di oli vegetali esausti (-12%) raccolti e avviati a riciclo.
Contrazioni che ad ogni modo, dice il rapporto, non pregiudicano le performance complessive della circular economy italiana, che anzi vede aumentare le quantità di materiali riciclati reimpiegati nei cicli produttivi al posto di materia prima vergine. Nel 2020 il cosiddetto tasso di circolarità è salito infatti al 21,6%, molto al di sopra della media europea del 12%, con un punto in più sull’anno precedente e un +8% negli ultimi dieci anni. Un segnale importante, alla luce delle tormentate dinamiche che stanno agitando le supply chain del mondo intero. “Questi anni di pandemia ci stanno facendo toccare con mano quanto le nostre economie siano fragili e dipendenti dalla politica degli approvvigionamenti di altri Paesi – evidenzia Paolo Barberi, Presidente di FISE Unicircular – ecco quindi che il riciclo, oltre alla valenza che esso riveste per la transizione ecologica, assume ancor più un’importanza strategica per la resilienza del nostro sistema economico e sociale”.
Per reggere e anzi vincere la concorrenza dei materiali vergini il mercato dei prodotti riciclati va supportato e stimolato, dicono però gli operatori. Altrimenti addio economia circolare. “In molte regioni d’Italia – dice Barberi – gli impianti chiudono con i magazzini pieni di materiali da riciclo che non trovano collocazione sul mercato, e non perché non siano conformi dal punto di vista qualitativo ma perché non ci sono strumenti di supporto alla domanda. Ad esempio IVA agevolata sui prodotti realizzati con materiali riciclati e credito d’imposta per chi utilizza questi prodotti, o anche strumenti innovativi come certificati del riciclo modulati sull’esempio dei certificati energetici. Ma serve anche emanare con maggiore rapidità i decreti end of waste e i criteri ambientali minimi per gli acquisti verdi nella Pubblica Amministrazione”. “CAM ed end of waste saranno due dei pilastri della nuova Strategia nazionale sull’economia circolare – garantisce Laura D’Aprile, capo dipartimento per gli investimenti verdi al Ministero della Transizione Ecologica – puntiamo ad approvare il testo entro il 30 giugno prossimo, come prevedono le ‘milestone’ del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.
Resta poi il nodo burocrazia. “Non è possibile che per autorizzare un impianto – commenta il presidente di Unicircular – occorrano tempi che non sono nemmeno più storici. Nell’intervallo che passa dall’ideazione del progetto alla sua messa a terra gli scenari economici e sociali spesso risultano completamente mutati”. “Serve accelerare il meccanismo dell’end of waste – aggiunge Ronchi – sia rispetto all’approvazione dei decreti ministeriali che al rilascio delle autorizzazioni ‘caso per caso’ a livello locale”. Il Ministero, dal canto suo, fa mea culpa. “Condivido appieno le osservazioni sulla complessità della norma sull’end of waste – risponde Laura D’Aprile – purtroppo la natura regolamentare dei provvedimenti ministeriali non consente di accorciare i tempi. Una serie di azioni possono però consentire di accelerare le procedure sul binario regionale – prosegue – come il recente lancio della piattaforma telematica che raccoglie e rende consultabili i provvedimenti autorizzativi rilasciati a livello locale, facendo in modo che le amministrazioni possano mutuare le procedure già concluse sul territorio nazionale”.
Al settore servono più riforme che risorse, dicono insomma gli operatori, che su quest’ultimo fronte non nascondono dubbi e perplessità rispetto alla ripartizione dei 2,1 miliardi di euro che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha destinato al settore, ripartiti su due linee d’intervento rispettivamente da 1,5 miliardi, dedicati a comuni ed enti d’ambito, e 600 milioni per progetti innovativi di economia circolare nelle filiere di Raee, tessili, carta e plastica. “Se l’Italia è un’eccellenza dell’economia circolare – commenta Barberi – lo si deve soprattutto alle tantissime imprese private, soprattutto piccole e medie, che in questi anni hanno investito per migliorare qualità ed efficienza dei processi di riciclo. Anche alla luce del fatto che i finanziamenti del PNRR hanno come primo obiettivo quello di colmare le distanze tra Nord e Sud, non si comprende perché la maggior parte dei fondi sia stata destinata a enti pubblici che potrebbero non avere la capacità di rivestire il ruolo storicamente interpretato dagli operatori privati. Vedo dietro questo provvedimento un tentativo di modificare l’assetto economico che fino ad oggi ha dimostrato di funzionare“.