Nucleare, ISIN: “Incertezza sui tempi di realizzazione del deposito nazionale”

di Luigi Palumbo 30/08/2023

Secondo l’ISIN resta incerto l’iter per la realizzazione del deposito nazionale delle scorie radioattive. E nel frattempo aumentano i tempi, i costi (e i rischi) degli stoccaggi temporanei


L’avanzamento dell’iter di approvazione della CNAI, la carta delle aree idonee a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, costituisce “un sostanziale ‘cambio di orizzonte’” per la soluzione del problema, ma “si deve tuttavia riconoscere che permane ancora l’incertezza sui tempi di realizzazione”, e di conseguenza “su quanto tempo e quali investimenti (a carico della collettività) continueranno a essere necessari per gli interventi di adeguamento delle strutture provvisorie e per la realizzazione di nuovi depositi temporanei”. Lo mette nero su bianco l’ISIN, l’Ispettorato per la sicurezza nucleare, nella Relazione annuale consegnata dal direttore Maurizio Pernice a governo e Parlamento. Un dossier ampio e dettagliato, nel quale l’Istituto torna a sottolineare i principali profili di criticità del sistema nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi, a partire dall’incertezza che ancora avvolge l’iter per la realizzazione del deposito unico. Che dovrà ospitare complessivamente 90mila metri cubi di scorie, a partire dai circa 32mila attualmente stoccati in 22 depositi temporanei su tutto il territorio nazionale.

Dopo l’approvazione della CNAPI, Carta delle aree potenzialmente idonee, e la conclusione del seminario nazionale con le comunità delle 67 zone individuate (che hanno tutte sbarrato le porte al progetto), ora l’attesa è per l’adozione della versione finale del documento, la CNAI appunto, che però continua a fare la spola tra i soggetti coinvolti nella procedura e, al momento, resta ancora top secret. Stando a quanto riferisce ISIN, dopo una prima riformulazione la nuova versione della carta redatta da SOGIN (la società di Stato che dovrà realizzare e gestire l’opera, che nel frattempo era stata commissariata e che dal 4 agosto scorso ha un nuovo consiglio d’amministrazione) è giunta sulle scrivanie del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e di ISIN a fine luglio 2023. Se l’Istituto garantisce che “adotterà il parere definitivo entro il mese di settembre 2023”, nei mesi scorsi Pichetto ha invece dichiarato di non sapere “se riusciremo a chiudere quest’anno”, a differenza di quanto preventivato dall’ex titolare del dicastero, Roberto Cingolani, che aveva invece assicurato l’individuazione della località definitiva entro il 31 dicembre del 2023. Nel frattempo, considerata la levata di scudi delle località censite nella CNAPI, lo stesso Pichetto ha fatto sapere di essere al lavoro su un provvedimento da adottare entro settembre per aprire ufficialmente alle autocandidature da parte di località che non saranno incluse nella CNAI. Cosa che allungherebbe, e non di poco, i tempi, visto che significherebbe di fatto riavviare il processo di verifica della rispondenza ai criteri tecnici di ISPRA e sottoporre l’eventuale scelta a una nuova Valutazione Ambientale Strategica.

Sull’individuazione della località, insomma, regna l’incertezza. Che, sottolinea ISIN, si ripercuote sui tempi e costi per la messa in sicurezza del sistema nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi e per il completamento delle operazioni di smantellamento delle ex installazioni nucleari italiane, quasi tutte alle prese con “criticità sulla disponibilità di adeguate volumetrie di stoccaggio necessarie per poter proseguire nella gestione dei rifiuti radioattivi storici e per allocarvi i rifiuti di risulta delle attività di smantellamento delle isole nucleari (la zona della centrale in cui è presente il reattore nucleare e i componenti del circuito primario a maggiore radioattività, ndr)”. Come nel caso dei depositi ERSBA 2 e ERSMA e dell’Area Buffer della centrale di Caorso, dei depositi ex-compattatore e D2 presso la centrale del Garigliano e del deposito 2 della centrale di Trino. “Strutture di immagazzinamento vetuste – scrive ISIN – che per poter soddisfare i necessari requisiti di sicurezza devono essere sottoposte a un costante monitoraggio, a continui miglioramenti tecnici e adeguamenti alle soluzioni tecnologiche e impiantistiche più recenti e innovative”.

Ma il caso più eclatante, da anni ormai al centro di tensioni diplomatiche tra Italia e Francia, resta quello del deposito Avogadro di Saluggia, in provincia di Vercelli. Collocate alla confluenza tra il Po e la Dora Baltea, e quindi esposte costantemente al rischio di allagamento, le piscine costruite negli anni ’60 per accogliere il primo reattore nucleare italiano – e che ISIN considera come caratterizzate da “complessiva vetustà” – continuano infatti a ospitare ben 13 tonnellate di combustibile irraggiato, ultima tranche di una partita da 235 tonnellate che entro il 2015 avremmo dovuto trasferire in Francia per il riprocessamento, come già fatto in precedenza con le circa 1630 tonnellate inviate in Inghilterra. Ai sensi degli accordi intergovernativi siglati tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, i due paesi dovrebbero tenersi la parte di combustibile ancora utilizzabile, e noi invece dovremmo riprenderci entro il 2025 i residui del trattamento, di fatto scorie ad alta e media attività, per stoccarli nel deposito nazionale. Ma già dal 2013, di fronte alle crescenti incertezze sui tempi di realizzazione dell’opera, il governo di Parigi ha interrotto i trasferimenti chiedendo garanzie sulla capacità dell’Italia di rispettare i tempi stabiliti nell’accordo intergovernativo. Garanzie che, fin qui, nessun governo è stato capace di fornire.

“È pertanto necessario procedere quanto prima alla definizione di programmi per il riavvio a breve del processo di trasferimento in Francia dei restanti elementi di combustibile esaurito”, sottolinea ISIN. Ma resta l’interrogativo sulla effettiva capacità dell’Italia di riprendere in carico i residui del riprocessamento, calcolati dall’Istituto in “alcune decine di metri cubi”. Il deposito nazionale, secondo le stime più ottimistiche, non dovrebbe essere operativo prima del 2030. Un condizionale che resta tuttavia gigantesco. In aggiunta all’imbarazzo diplomatico con Francia e Inghilterra, e ai rischi connessi al permanere del combustibile irraggiato nelle vecchie piscine del deposito Avogadro, all’orizzonte si fa dunque sempre più concreta la prospettiva di “ulteriori e gravosi oneri a carico dello Stato italiano”, avverte ISIN. Da sommare ai costi già sostenuti per il riprocessamento e lo stoccaggio temporaneo all’estero, che stando all’ultima relazione della Corte dei Conti sull’attività di SOGIN, al 31 dicembre del 2020 superavano i 235 milioni di euro.

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