Dopo l’errore sul nome di Paolo Zangrillo, la rettifica che conferma i pronostici. Sarà Gilberto Pichetto Fratin a sedere al vertice del neonato Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Una nomina che ha il sapore del ritorno al passato
L’annuncio era sbagliato. I pronostici invece no. Sarà Gilberto Pichetto Fratin, e non Paolo Zangrillo, come erroneamente riferito questa sera dalla premier incaricata Giorgia Meloni, a prendere il posto di Roberto Cingolani alla guida del Ministero della Transizione Ecologica, che cambierà denominazione. Torna il Ministero dell’Ambiente che però conserva la delega all’energia diventando anche Ministero della Sicurezza Energetica. E alla sua guida siederà, come abbondantemente anticipato nei giorni scorsi, l’ex viceministro dello Sviluppo Economico.
Dal MiSE al MiTE, da gregario dell’esecutivo Draghi a uomo di punta della squadra designata dalla leader di Fratelli d’Italia: per il piemontese classe 1954 è l’ultimo capitolo di una lunga vicenda politica. Nelle fila di Forza Italia già dagli anni ’90, è stato consigliere comunale e regionale prima di diventare senatore nel 2008 e, per la seconda volta, nel 2018. Poi l’investitura a sottosegretario e viceministro con la nascita del governo di larghe intese sotto la guida dell’ex numero uno della BCE. Che a dirigere il neonato ministero della Transizione Ecologica aveva voluto lo scienziato Cingolani, figura divisiva, apertamente contestata dal fronte ambientalista senza risultare capace di convincere fino in fondo il mondo delle imprese.
Dal professore di fisica col pallino dell’innovazione tecnologica al docente di ragioneria e commercialista, iscritto all’albo dei revisori contabili proprio come l’ex ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti prima di lui. La designazione di Pichetto Fratin ha indubbiamente il sapore del ritorno al passato. Al di là della nomina, che sta già facendo discutere, è però il nuovo cambio di denominazione del dicastero che sembra assumere una chiara valenza programmatica. Scompare il riferimento alla transizione, e l’ecologia – che per definizione è lo studio delle relazioni tra uomo e natura – torna a essere ambiente. Preludendo, forse, a un approccio più orientato alla tutela e alla conservazione che non allo sviluppo, come quello che ha segnato invece i due anni del dicastero di Roberto Cingolani. Due anni che tra PNRR e crisi energetica definire concitati è un eufemismo, al termine dei quali Cingolani scompare, come il Ministero nato e morto con lui, quasi senza lasciare traccia.
Ma la vera novità, se così la si può definire, è il riferimento alla Sicurezza Energetica, segno che i temi che hanno catalizzato gli ultimi mesi del governo guidato da Mario Draghi ora diventano elemento prioritario e strutturale dell’azione politica del nuovo governo: traghettare l’Italia fuori dalla peggiore crisi energetica della storia repubblicana, tagliare i costi delle bollette e restituire autonomia e stabilità alle forniture per imprese e famiglie. “È indispensabile continuare a lavorare per ridurre la nostra dipendenza dal gas russo e per accrescere l’autonomia energetica” aveva dichiarato in campagna elettorale Pichetto Fratin, sottolineando la necessita di puntare su “aumento della produzione nazionale di gas, un utilizzo più efficiente dei terminali di gas naturale liquefatto già disponibili, lo sviluppo di nuovi rigassificatori mobili e la garanzia delle attività di stoccaggio, oltre ad una maggiore e più decisa semplificazione normativa per l’installazione di impianti fotovoltaici”.
Resterà da vedere quanto spazio le esigenze di messa in sicurezza lasceranno a quelle di decarbonizzazione. Anche su questo fronte in campagna elettorale Pichetto Fratin si era detto consapevole che la strada per allontanare il sistema energetico nazionale dalle fonti fossili d’importazione non può non intrecciare quella della lotta al cambiamento climatico. “Gli interventi finalizzati ad accelerare ulteriormente l’uso di fonti alternative al gas e al petrolio – spiegava – sono in linea con il percorso di transizione ecologica che ci siamo impegnati a portare a termine con l’UE”. Un impegno che si estende anche al mix di fondi e riforme che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha dedicato al capitolo sulla transizione, il più ponderoso in termini di dotazione economica: quasi 60 miliardi di euro, da trasformare entro il 31 dicembre 2026 in opere concrete in ambiti strategici come energie rinnovabili, tutela del territorio e delle acque, gestione dei rifiuti ed economia circolare.
Su quest’ultimo fronte ci sarà da dare attuazione alle due grandi riforme, il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti e la Strategia Nazionale sull’Economia Circolare, ma bisognerà anche garantire la messa a terra entro i prossimi quattro anni dei 2,1 miliardi di euro destinati alla realizzazione di nuovi impianti. Un iter che sta avanzando in linea con il cronoprogramma concordato con Bruxelles, ma sul quale si allunga l’ombra minacciosa delle procedure autorizzative e delle gare d’appalto. Nodi da sciogliere proseguendo il lavoro già avviato dal governo Draghi sullo snellimento della burocrazia, ma anche garantendo il rafforzamento delle competenze tecniche degli enti locali e degli organi di controllo. Tema, quest’ultimo, particolarmente caro all’ex professore di ragioneria chiamato a diventare rettore dell’ambiente e della sicurezza energetica nel nostro Paese.