Per il direttore generale di UNIRIMA Francesco Sicilia dietro i recenti interventi di antitrust e TAR sugli ‘impianti minimi’ di ARERA c’è un filo unico: quello della concorrenza. Che passa anche per il tema della valutazione dei fabbisogni territoriali di trattamento
La segnalazione dell‘antitrust e le sentenze dei TAR Emilia-Romagna e Lombardia sul sistema degli ‘impianti minimi’ disegnato da ARERA dovranno servire ad accendere i riflettori sul tema della concorrenza, “per evitare che le imprese debbano ricorrere ai tribunali per far valere diritti dei quali sono già titolari”. Ma per Francesco Sicilia, direttore generale di UNIRIMA, l’associazione nazionale dei riciclatori di carta, sono anche l’invito ad aprire una riflessione sui meccanismi che stanno dietro la valutazione dei fabbisogni territoriali di trattamento da colmare, “un aspetto fondamentale – dice – anche alla luce del PNRR“.
Prima di approdare nelle aule della giustizia amministrativa, il sistema di ‘impianti minimi’ di ARERA era finito al centro di una segnalazione dell’antitrust. Cosa scriveva l’AGCM in quel documento?
“C’è un filo unico che lega quella segnalazione alle sentenze del TAR Emilia-Romagna prima e Lombardia poi: quello della concorrenza, che passa anche per il tema del ruolo delle regioni e per quello del fabbisogno impiantistico. Riferendosi ad alcune delibere adottate dalle regioni sugli ‘impianti minimi’, l’AGCM ha ribadito come queste avessero introdotto una forma di protezionismo locale non compatibile con la disciplina antitrust e con il principio della concorrenza. Andando a ledere anche l’interesse dei cittadini, che avrebbero potuto pagare prezzi più alti perché non derivanti da procedure di gara. Anche rispetto alla finalità di colmare i gap di trattamento, poi, l’antitrust ha ribadito l’importanza di un’analisi del fabbisogno territoriale che tenga conto della distanza chilometrica degli impianti e della sostenibilità ambientale del trattamento in un impianto specifico rispetto a un altro”.
La segnalazione dell’antitrust ha posto alcune delle basi dalle quali sono scaturite le recenti sentenze sul sistema di ‘impianti minimi’: prima quella del TAR Emilia-Romagna, poi quelle del TAR Lombardia che ne hanno disposto l’annullamento. Come avete accolto questi pronunciamenti?
“Sono stati pronunciamenti importanti. Quello del TAR Emilia-Romagna ha chiarito che la Regione non può affidare il trattamento della forsu a impianti specifici, specificando che ARERA non aveva mai previsto si dovessero fare affidamenti diretti e non procedure concorrenziali. Le due sentenze del TAR Lombardia, invece, hanno chiarito che il sistema degli ‘impianti minimi’, dal punto di vista normativo, non ha motivo di esistere, tanto meno quindi può esistere un sistema tariffario a esso collegato. In più, le sentenze hanno chiarito che ARERA non ha competenze normative per affidare alle regioni il potere di individuare ‘impianti minimi’. In estrema sintesi, le sentenze ribadiscono quanto sottolineato dall’antitrust: non deve esserci alcun protezionismo locale e le scelte di affidamento vanno fatte attraverso procedure competitive nell’interesse del sistema che l’antitrust rappresenta ma anche e soprattutto dei cittadini”.
Posto che per conoscere l’esito della vicenda, almeno dal punto di vista processuale, occorrerà probabilmente attendere il Consiglio di Stato, che cosa succede adesso?
“Il nostro auspicio, intanto, è che si presti maggiore attenzione al principio di concorrenza, che l’antitrust ha più volte posto in evidenza. Le sentenze del TAR, invece, di fatto annullano la delibera ARERA che, per le parti impugnate dalle imprese, non hanno più effetto. Qualora il legislatore dovesse scegliere di rimettere mano a questo sistema, auspichiamo lo faccia tenendo conto delle indicazioni che sono emerse dalla segnalazione dell’antitrust e dalle sentenze. C’è però un altro tema che lega tutto, quello della valutazione del fabbisogno impiantistico necessario a colmare i gap di trattamento. Un aspetto fondamentale, anche alla luce del PNRR”.
Perchè?
“Auspichiamo che tutte le valutazioni legate all’erogazione dei fondi indirizzati al settore dei rifiuti (che sono stati presi in prestito, e che ci toccherà restituire) siano state fatte analizzando la dotazione impiantistica esistente e l’effettiva necessità di realizzare un impianto ex-novo piuttosto che un altro. Il rapporto ISPRA ricorda sempre come in Italia ci siano circa 4620 impianti di recupero e che, se siamo leader in Europa, è proprio perché c’è una dotazione di impianti che lo consente. Senza la quale, ad esempio, il settore del riciclo della carta non avrebbe raggiunto e superato gli obiettivi europei. Bisogna accendere i riflettori sui temi sollevati dall’antitrust prima e dalle sentenze poi per evitare che, come sempre succede, le imprese debbano fare ricorso ai tribunali per far valere diritti dei quali sono già titolari”.