Export di rifiuti, una “doppia perdita di competitività” per il cemento italiano

di Luigi Palumbo 14/01/2025

Nel 2023 l’Italia ha pagato i cementifici esteri per utilizzare decine di migliaia di tonnellate di CSS. I nostri competitor ringraziano, incassano e risparmiano sull’acquisto di combustibili fossili e quote di emissione. “Una doppia perdita di competitività per il cemento italiano”, spiega Nicola Zampella, direttore di Federbeton


Mentre le bollette per famiglie e imprese tornano a salire, gli elevati costi energetici e i costi della decarbonizzazione rischiano di spingere fuori mercato il cemento italiano. A vantaggio dei paesi extra Ue, non pressati dagli stringenti obblighi ambientali delle politiche europee, ma anche dei competitor sul mercato unico. Tanto più che a questi ultimi continuiamo a regalare soldi e competitività nella forma di rifiuti e CSS. Seguendo un trend consolidato ormai da diversi anni, nel 2023, infatti, Slovenia e Grecia hanno pesato per il 34% sul totale del cemento e del clinker importati dal nostro paese. Nello stesso anno, tuttavia, come emerge dall’ultimo rapporto ISPRA sui rifiuti urbani, abbiamo pagato i cementifici dei due paesi per utilizzare rispettivamente almeno 10 mila e 4.600 tonnellate di combustibile solido secondario. Cosa che ha consentito loro di tagliare i costi di approvvigionamento di pet coke, il combustibile fossile tradizionalmente utilizzato per alimentare i forni per il clinker, e una complessiva riduzione dei costi di gestione grazie all’incasso delle tariffe di conferimento. Senza contare il taglio della CO2 garantito dalla componente biogenica contenuta nel CSS, che si traduce anche in una minore necessità di acquisto di quote di emissione. La chiave della maggiore competitività del cemento greco o sloveno rispetto a quello italiano sta anche qui. Nei rifiuti che esportiamo a caro prezzo perché siano gli altri a trasformarli in calore ed elettricità.

Complessivamente, secondo ISPRA, sono poco meno di 800 mila le tonnellate di rifiuti combustibili che nel 2023 sono state esportate fuori dai confini nazionali per essere trasformate in calore ed energia in inceneritori e cementifici esteri. In entrambi i casi pagando anche una tariffa di conferimento. Le quantità esportate includono almeno 370 mila tonnellate di CSS, che sono quasi quanto quelle sostituite ai combustibili fossili nei cementifici nazionali, dove la quota di CSS utilizzata, secondo l’associazione Federbeton, è passata da 301 mila tonnellate nel 2022 a poco meno di 380 mila nel 2023. Nel suo piano di decarbonizzazione l’associazione si dice pronta a raggiungere un tasso di sostituzione del 47% al 2030 e dell’80% al 2050, stimando una riduzione delle emissioni di CO2 equivalente del 12% per unità di prodotto, ma nella realtà l’obiettivo resta ancora lontano. “Nel 2023 abbiamo registrato un tasso di sostituzione del 25,5%, guadagnando in un anno solo 3 punti percentuali e restando lontani dalla media Ue, che si aggira intorno al 60%”, spiega a Ricicla.tv Nicola Zampella, direttore generale di Federbeton. “Il CSS è una risorsa energetica a km zero che da noi, purtroppo, risulta ancora sottoutilizzata – chiarisce – mentre ci sono paesi europei che arrivano a un tasso di sostituzione fino all’80%”. Come l’industria cementiera austriaca, che sfiora l’82% e alla quale, nel 2023, il solo Friuli-Venezia Giulia ha fornito oltre 14 mila tonnellate di CSS pagando circa cento euro per tonnellata.

“Il problema – spiega Zampella – sono le lungaggini burocratiche e le incertezze amministrative che rendono difficile adottare una buona pratica che i nostri competitor europei, invece, riescono a realizzare con maggiore intensità”. Negli ultimi anni non sono mancati gli interventi per snellire l’iter amministrativo per gli impianti, come le semplificazioni introdotte nel 2021 dal governo Draghi per agevolare l’utilizzo di CSS-c, o ‘end of waste’, ovvero la versione nobile del CSS. Semplificazioni per effetto delle quali, secondo il comitato di monitoraggio istituito presso il Ministero dell’Ambiente, nel 2023 con oltre 119 mila tonnellate l’utilizzo di CSS-c ha visto un aumento dell’87,57% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, scrive lo stesso comitato, “permangono difformità interpretative a livello locale”. Fino al paradosso territoriale: in Umbria nel 2023 il Tar regionale ha dato ragione alla Regione che aveva autorizzato un progetto di sostituzione nel cementificio di Gubbio. Nel confinante Lazio, invece, due progetti sono stati bocciati nell’ordine prima dalla Regione, poi dal Tar e infine dal Consiglio di Stato. Insomma, oltre a perdere terreno nei confronti dei competitor europei, il settore finisce per frammentarsi anche a livello nazionale “creando diversi livelli di competitività tra i vari operatori a livello regionale”, spiega Zampella. Un nodo che è sicuramente amministrativo, ma anche culturale, visto che “il velo di pregiudizio negativo che avvolge la pratica – dice – viene spesso utilizzato anche dalla politica” e tradotto in provvedimenti ostativi.

Insomma, mentre da noi Regioni e TAR procedono in ordine sparso, nel resto d’Europa i cementifici si muovono all’unisono incassando le nostre tariffe di conferimento e risparmiando sui costi di gestione degli impianti grazie al nostro CSS. “Cosa che per noi si traduce in una doppia perdita di competitività“, chiarisce Zampella. Da un lato, infatti, l’utilizzo di CSS consente ai cementifici esteri di tagliare i costi di produzione grazie al minore approvvigionamento di pet coke, “che oggi costa circa 150 euro la tonnellata”, chiarisce Zampella. Ma il minore potenziale emissivo del CSS consente anche di ridurre la necessità di acquisto di quote di CO2 nell’ambito dell’Emission Trading Scheme. “Dal 2021 le quote assegnate gratuitamente sono inferiori rispetto al fabbisogno – spiega il direttore di Federbeton – e occorre comprarne poco oltre il 20%. Gli operatori possono quindi rientrare nel nostro mercato con prodotti che presentano un vantaggio competitivo, non solo sul piano dei costi ma anche delle sfide ambientali nelle quali il settore è ingaggiato a livello europeo”. “I circa 30 cementifici attivi in Italia sono pronti a raggiungere i livelli di sostituzione degli altri paesi europei – chiarisce – ma servono semplificazioni e, soprattutto, maggiore diffusione della conoscenza e della consapevolezza rispetto a una pratica che non presenta rischi per le persone e che altrove è già realtà”.

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