Secondo l’ANAC l’abolizione del registro degli affidamenti in house prevista dalla riforma del codice degli appalti è “una finta semplificazione”. Critiche anche le associazioni delle imprese di gestione dei rifiuti e dei riciclatori Assoambiente e Unirima
L’abolizione del registro ANAC degli affidamenti in house “è un vulnus per le imprese e per il mercato”. È la stessa Autorità Nazionale Anti Corruzione a lanciare l’allarme su uno dei più discussi passaggi della riforma del codice degli appalti attualmente al vaglio del Parlamento, in vista dell’adozione definitiva che dovrà arrivare entro il 31 marzo 2023, come stabilito dal PNRR. Audito in commissione ambiente alla Camera il presidente dell’ANAC Giovanni Busia ha definito “una finta semplificazione” l’eliminazione dell’elenco delle amministrazioni e degli enti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, nato per vagliare preventivamente l’esistenza o meno dei presupposti necessari a giustificare la cosiddetta ‘autoproduzione’ di servizi senza ricorrere al mercato. Uno strumento che la riforma del codice punta ad archiviare “nell’ottica del superamento dell’atteggiamento fortemente restrittivo nei confronti dell’in house” si legge nella relazione illustrativa del provvedimento. Una scelta che “rischia di creare problemi”, ha chiarito Busia. “Circa due terzi dei casi non ha le caratteristiche richieste dall’UE – ha spiegato – dirglielo prima serve a evitare responsabilità nei confronti degli enti locali e anche a evitare il moltiplicarsi del contenzioso”.
Anche secondo l’antitrust “una parte ancora molto significativa del mercato dei servizi pubblici locali è gestita in base ad affidamenti attribuiti a soggetti che non sempre rispettano i necessari requisiti dell’in house providing”. Uno strumento, quello dell’in house providing, che resta estremamente diffuso nelle procedure di affidamento del servizio pubblico di gestione dei rifiuti, soprattutto per le attività di raccolta. Stando all’ultima relazione dell’autorità di regolazione Arera, su 7mila 608 soggetti iscritti all’anagrafica dei gestori nel 2021, l’86,5% dei casi risultava accreditato come ente pubblico, incluse quindi gestioni in economia e affidamenti in house. “Ripristinare il registro è essenziale per la coerenza del sistema – ha chiarito Busia – anche per evitare sacche di inefficienza, che pure esistono. Laddove non ci siano i requisiti in house – ha infatti aggiunto – queste società svolgono una concorrenza sleale nei confronti delle imprese e creano costi indiretti per il sistema”.
Per lo stesso motivo l’eliminazione del registro ANAC è stata duramente criticata dalle associazioni delle imprese. Una previsione sbagliata, secondo Francesco Sicilia, direttore generale di Unirima, “considerata la fondamentale funzione, non solo in termini di trasparenza bensì di vera e propria verifica e controllo esercitato dall’autorità” ha dichiarato nel corso di un’audizione in commissione ambiente alla Camera. Anche secondo Assoambiente l’abolizione del registro “andrebbe evitata – ha chiarito in audizione il direttore generale Elisabetta Perrotta – per evitare un aumento dei contenziosi”.