Mentre le prime pagine dei quotidiani nazionali raccontano da mesi l’evolversi della crisi rifiuti romana, in Campania, nel silenzio, si fanno i conti con gli strascichi di un’emergenza che sembra non finire mai. E se quella romana è un’emergenza esposta, con cassonetti stracolmi e impianti al collasso, quella campana è invece, al contrario, nascosta. Letteralmente sotterranea. È l’emergenza discariche. Attenzione, però. Non parliamo delle discariche attualmente aperte (due) o di quelle che forse verranno costruite per chiudere definitivamente il ciclo regionale, ma delle numerose discariche realizzate in Campania tra la fine degli anni ’70 e la prima emergenza rifiuti ufficiale, quella del 1994.
Discariche che, dopo aver ingoiato per anni migliaia di tonnellate di pattume urbano, pur essendo state chiuse continuano a produrre fiumi di percolato. Con il rischio che i liquidi inquinanti finiscano in falda e, da lì, contaminino acque e suoli. Rischio decisamente reale, dal momento che oltre a non essere mai state messe realmente in sicurezza, molte discariche «benchè autorizzate ufficialmente dalla Regione Campania, erano state progettate malissimo, realizzate peggio e gestite ancora peggio».
A spiegarlo è l’ingegner Bruno Orrico, coordinatore della Commissione ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli, a margine del seminario tecnico “Protezione del territorio e bonifiche” promosso dall’Ordine e svoltosi oggi nel capoluogo partenopeo. «L’emergenza è scoppiata ufficialmente nel ’94, ma in realtà ha certificato uno stato di cose preesistente. Proprio grazie al lavoro del primo Commissario, l’ex prefetto Improta – prosegue Orrico – fu individuata un’ampia porzione di territorio completamente compromessa dalla presenza di cave dismesse diventate sversatoi abusivi ma anche di discariche vere e proprie, formalmente autorizzate ma in realtà carenti da ogni punto di vista».
Dove? Un po’ in tutte le province, ma soprattutto tra quelle di Napoli e Caserta. Nel corso del seminario, Orrico snocciola anche qualche nome: la Di. Fra. Bi. a Pianura nel napoletano, tanto per cominciare, ma anche gli impianti Ecologica Meridionale, Migliore Carolina e Sogeri, in provincia di Caserta. «A seguito della disamina eseguita all’epoca in prefettura – ricorda Orrico – questi progetti risultarono fatti malissimo». E la messa in sicurezza dopo la chiusura? Praticamente un miraggio, e non solo in questi casi.
Il piano regionale di bonifica attualmente vigente censisce in Campania più di 200 discariche, gran parte delle quali chiuse da anni e in attesa di interventi di messa in sicurezza permanente che, però, stentano ad arrivare. Cosa che spiega anche perchè la Campania sia in cima alla lista delle regioni sanzionate dalla Ue per non aver mai bonificato i propri sversatoi non a norma: 48 nel 2014, scesi a 25 agli inizi del 2017. «Le discariche ancora da sistemare sono tante – spiega Antonio Marotta, ingegnere ambientale e membro della Commissione ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli – soprattutto quelle che i sindaci furono costretti a costruire in periodo emergenziale. Discariche realizzate in via temporanea i cui sistemi di protezione non potevano e non possono garantire una tenuta efficiente».
Le conseguenze, sotto il profilo ambientale, sono pesantissime. «Impianti del genere possono generare problemi di contaminazione legati alle perdite di percolato, che se non sufficientemente arginato da sistemi di barriera ed impermeabilizzazioni si insinua nel sottosuolo fino a raggiungere le falde. È anche vero – precisa però Marotta – che questo dipende da tanti altri fattori, primo fra tutti il periodo in cui le discariche sono state realizzate. Quelle risalenti a prima del 1984, che purtroppo sono anche le più grandi, non hanno alcun sistema di protezione. Le sanzioni europee – prosegue – hanno aggiunto al disagio ambientale anche quello economico».
Le sanzioni Ue sulle discariche, è bene ricordarlo, non riguardano solo la Campania, ma tante regioni da Nord a Sud dello Stivale. Centodue i siti ancora da mettere in sicurezza, al costo di 200mila euro di multa per ogni sei mesi di ritardo. Centosessantadue, invece, i milioni già versati dall’Italia nelle casse di Bruxelles a titolo di penalità. Quello delle bonifiche, insomma, è un tema che va ben oltre i confini della Campania e tocca da vicino la sensibilità di un’opinione pubblica oggi più che mai attenta alla correlazione tra qualità dell’ambiente, sia esso naturale o urbano, e qualità della vita.
In questo contesto, l’ingegneria ambientale, disciplina che studia strategie e tecnologie per minimizzare l’impatto delle attività antropiche sugli ecosistemi, appare destinata a giocare un ruolo sempre più strategico, come sottolineato oggi proprio dal momento di confronto e formazione tecnica promosso dall’Ordine degli Ingegneri di Napoli. «Quella campana è una questione annosa, da lungo tempo in attesa di risoluzione – spiega Luigi Vinci, presidente dell’Ordine – è necessario che gli ingegneri si facciano ambasciatori e portatori di sapere presso le amministrazioni e i cittadini, per cercare di risalire il baratro nel quale da troppo tempo siamo sprofondati».