Via libera del Consiglio di Stato allo schema di decreto RenTRI, che però dovrà ottenere la bollinatura della Ragioneria di Stato. Non è solo questione di conti pubblici: per i giudici la riuscita del sistema resta appesa al filo di atti “di futura e incerta definizione”
Lo schema di decreto del Ministero dell’Ambiente che disciplinerà il funzionamento del nuovo sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti dovrà essere sottoposto al vaglio della Ragioneria generale dello Stato prima dell’adozione definitiva. Che a questo punto arriverà nei primi mesi del 2023. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato nel parere consultivo rilasciato lo scorso 20 dicembre, esprimendo un giudizio “nel complesso favorevole” sul sistema, ma accompagnato da un nutrito elenco di rilievi, che rispecchia i non pochi dubbi dei giudici sulla effettiva tenuta del provvedimento e, più in generale, sulle prospettive del RenTRi. A partire dalle possibili ricadute sui conti pubblici di una piattaforma che “comporta non irrilevanti oneri economico-finanziari”, scrivono i giudici.
Nelle intenzioni del dicastero i costi di funzionamento della piattaforma non saranno a carico dello Stato. Le spese di istituzione del sistema sono già coperte da un apposito stanziamento da 1,61 milioni di euro, mentre gli oneri di funzionamento saranno sostenuti con i contributi annuali versati dai soggetti obbligati all’utilizzo della piattaforma. A non convincere i giudici, però, è un’indicazione contenuta nella relazione che accompagna lo schema di decreto, secondo cui il raggiungimento dell’equilibrio finanziario del sistema si collocherebbe “a circa 36 mesi dall’iscrizione della prima fascia di soggetti obbligati”, a sua volta fissata a un anno e mezzo dall’entrata in vigore del decreto. Se tutto va bene, insomma, nel 2027. Nel frattempo i costi dovranno essere interamente sostenuti dallo stanziamento iniziale da poco più di un milione e mezzo. Da qui i dubbi del Consiglio, secondo cui “a certificazione della coerenza e solidità economico-finanziaria” di questa impostazione occorrerà acquisire la bollinatura della Ragioneria.
Un passaggio che potrebbe far slittare l’approvazione del decreto ai primi mesi del 2023, mentre il Ministero puntava all’adozione definitiva entro il 31 dicembre, in concomitanza con lo scadere del periodo di ‘stand still’ presso la Commissione europea, alla quale il testo era stato notificato lo scorso ottobre. Un rinvio che non dovrebbe compromettere il rispetto del cronoprogramma ufficiale della Strategia Nazionale sull’Economia Circolare, stando al quale la piattaforma dovrà essere predisposta entro il primo trimestre del prossimo anno. Aspetto non di poco conto, visto che la Strategia è una riforma del PNRR e che le sue scadenze rappresentano di fatto milestone da rispettare per sbloccare i finanziamenti dell’UE.
Ma i dubbi dei giudici amministrativi sullo schema di decreto non si limitano alla sola tenuta economico-finanziaria della piattaforma. Secondo il Consiglio di Stato infatti la riuscita dell’intera operazione RenTRi è di fatto appesa al filo del “generoso regime transitorio” disposto dal regolamento, che colloca l’avvio del sistema nel periodo che va dai 18 ai 30 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento. Durante questo periodo, ricordano i giudici, bisognerà definire le modalità operative della piattaforma attraverso l’adozione di atti dirigenziali che dovranno stabilire, tra l’altro, le logiche di compilazione dei nuovi modelli digitali dei registri di carico e scarico e dei formulari, e quelle per la trasmissione dei dati al RenTRi. Atti fondamentali per il funzionamento del sistema, ma che al momento appaiono però “di incerta e futura definizione”, scrivono i giudici, raccomandando al Ministero di chiarire “con quale prevedibile tempistica e ordine logico-giuridico potranno essere assicurate e conseguite l’effettiva strutturazione, implementazione e messa a regime del nuovo sistema RenTRi e dei suoi supporti tecnici (hardware) e logici di programmazione (software)”.
Il regolamento, insomma, presenta lacune “istruttorie e documentali” che se da un lato, scrivono i giudici, “non appaiono tali da pregiudicare l’ulteriore corso dello schema“, dall’altro andrebbero colmate “per dare al testo una maggiore compiutezza”. A questo scopo, suggerisce il Consiglio di Stato, sarebbe opportuno integrare nel provvedimento i risultati “delle sperimentazioni effettuate e del proficuo dialogo con gli operatori del settore” condotto nell’ambito del laboratorio per la messa a punto del prototipo del RenTRi, coordinato dall’Albo Nazionale Gestori Ambientali. Considerazioni che ricalcano gli appelli lanciati nei mesi scorsi dagli operatori coinvolti nella sperimentazione (e dallo stesso Albo), preoccupati dal possibile disallineamento tra le modalità operative messe a punto nel corso dei test e la cornice giuridica definita dal decreto, visto che quest’ultimo ha avuto di fatto una gestazione parallela nelle stanze della direzione generale per l’economia circolare del Ministero dell’Ambiente. Tant’è che per puntare all’adozione definitiva entro la fine di quest’anno il decreto è stato messo nero su bianco e notificato al Consiglio di Stato e a Bruxelles a sperimentazione ancora in corso, sebbene in una versione sfrondata da ogni riferimento di dettaglio alle modalità operative, rimandate a successivi provvedimenti direttorali. Una impostazione che non ha convinto il Consiglio di Stato. Ora è tutto rinviato al 2023 e all’esito del vaglio della Ragioneria.