Ridurre i consumi e diversificare le fonti. I rifiuti possono aiutarci a farlo: dal riciclo e dal recupero energetico, tra incenerimento e biometano, si può sbloccare un potenziale pari ai consumi medi di 10 milioni di famiglie, calcola Assoambiente
Ridurre i consumi energetici del sistema manifatturiero e industriale. Sostituire una fetta rilevante del gas fossile d’importazione. Aumentare la produzione di energia da fonte rinnovabile. In due parole: efficienza e diversificazione, ovvero quello che serve all’Italia per uscire dalle sabbie mobili della crisi innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. Come? Massimizzando il riciclo e il recupero dei nostri rifiuti, che custodiscono un potenziale energetico pari ai consumi medi di dieci milioni di famiglie in un anno. Lo ha calcolato Assoambiente in un’analisi presentata nei giorni scorsi a Ecomondo. Buttarlo via, avverte l’associazione, è un lusso che il nostro Paese non può più permettersi. “Abbiamo già uno schema di partenza, la gerarchia europea di gestione dei rifiuti – spiega Elisabetta Perrotta, direttore generale di Assoambiente – seguirla non significa certo trovare la soluzione definitiva alla crisi energetica, ma può dare un contributo importante alla risoluzione del problema”.
Che il riciclo aiuti a ridurre l’estrazione di materie prime vergini è ormai consapevolezza piuttosto diffusa. Un po’ meno diffusa invece la consapevolezza dei benefici sul fronte energetico. Eppure “il riciclo può dare efficienza all’industria e quindi ridurre la domanda di energia” spiega Perrotta. Alcuni esempi: produrre beni in alluminio utilizzando rottame piuttosto che la bauxite richiede il 95% dell’energia in meno. Con l’acciaio il risparmio garantito dall’utilizzo del rottame al posto del minerale di ferro è del 75%, così come per il vetro prodotto dai cocci ‘pronti al forno’ invece che dalla sabbia di silicio vergine. Per la plastica si passa al 65%. Già oggi l’Italia, ai vertici in Europa per quantità di materia riciclata utilizzata nei cicli produttivi, risparmia ogni anno circa 24 TWh di energia primaria. Raggiungendo l’obiettivo europeo del 65% di riciclo di tutti i rifiuti urbani entro il 2035 (oggi siamo al 50%) potremmo sottrarre alla bolletta nazionale altri 10 TWh di consumi, per un totale di 34TWh. Pari al consumo medio di circa 7 milioni di famiglie.
Un percorso, quello verso il 65% di riciclo al 2035, che chiamerà l’Italia ad aumentare gli sforzi anche sul fronte della raccolta differenziata e dell’avvio a recupero della frazione organica dei rifiuti urbani. Che se trattata in impianti integrati di compostaggio e biodigestione anaerobica può essere trasformata in fertilizzante e biometano, gas in tutto e per tutto sostituibile al suo equivalente fossile. Quello che fino a poco tempo fa importavamo in grandi quantità dalla Russia e che, dallo scoppio del conflitto, l’Italia è costretta a reperire in giro per il mondo. Arrivando a 7 millioni di tonnellate di organico urbano raccolto in maniera differenziata, sommando a questi altri 3 milioni di matrici organiche non urbane come fanghi da depurazione e scarti dell’agroindustria, e avviando tutto a digestione anaerobica, secondo Assoambiente potremmo generare circa 1,1 miliardi di metri cubi di biometano, vale a dire l’1,5% del totale del gas consumato in Italia annualmente. Un contributo piccolo, ma significativo, alla riduzione delle importazioni di metano fossile dall’estero.
Ma massimizzare il potenziale energetico dei rifiuti significa anche fare in modo che quello che non può essere riciclato, unito a una parte degli scarti delle operazioni industriali di riciclo, finisca in impianti capaci di trasformarlo in energia. Tema che sconta “falsi preconcetti”, sottolinea Assoambiente, ricordando come avviando a termovalorizzazione piuttosto che in discarica una tonnellata di rifiuto urbano, residuo dalla raccolta differenziata, si potrebbero produrre 750 kWh di energia elettrica (pari a quelli prodotti da 5 metri quadrati di pannelli fotovoltaici), evitando l’emissione di almeno 500 kg di CO2. Tra rifiuti urbani e speciali i 37 impianti di incenerimento attivi a livello nazionale hanno trattato nel 2020 circa 6,2 milioni di tonnellate di rifiuti generando 4.530.000 MWhe di energia elettrica e 2.344.000 MWht di energia termica. Per ridurre a meno del 10% i conferimenti in discarica di rifiuti urbani al 2035, come chiede l’UE, e garantire autosufficienza di trattamento anche per la parte di rifiuti speciali, secondo Assoambiente l’Italia dovrebbe disporre di una capacità di incenerimento pari ad almeno 10 milioni di tonnellate, che consentirebbe la produzione di 7 milioni di MWh energia elettrica, pari ai consumi medi di 2,6 famiglie italiane, e di 3 milioni di MWh energia termica.
“Complessivamente – calcola Perrotta – tra l’efficienza garantita dal riciclo, la produzione di biometano e la termovalorizzazione degli scarti non riciclabili potremmo generare benefici energetici pari ai consumi di 10 milioni di famiglie“. Per passare dai numeri ai fatti serve però sbloccare il potenziale d’investimento e d’innovazione delle imprese di settore. Frenate, oltre che dallo stigma culturale che ancora accompagna il dibattito sui nuovi impianti (e che colpisce non solo i termovalorizzatori ma anche i digestori anaerobici e gli impianti di riciclo), anche dai lacci della burocrazia. “Serve alleggerire il carico burocratico-amministrativo per le imprese, realizzare gli impianti, completare il quadro degli end of waste e mettere a punto tutti gli strumenti economici di supporto al mercato del riciclo, come previsto dal Programma nazionale di gestione dei rifiuti e dalla strategia nazionale per l’economia circolare”, dice il presidente di Assoambiente Chicco Testa.