Tessile circolare, così l’Italia può diventare paese guida

di Luigi Palumbo 10/12/2024

Dagli incentivi all’utilizzo di fibre riciclate alla promozione di sistemi di responsabilità estesa del produttore: ecco cosa prevede l’intesa G7 sul tessile circolare. L’Italia, che ha coordinato i lavori, farà da paese guida anche con il nuovo regolamento EPR. “Il  testo aggiornato sarà in consultazione da gennaio. Puntiamo a diventare il primo riferimento per tutti i paesi dell’Ue” dice a Ricicla.tv Laura D’Aprile


Il futuro sostenibile dell’industria tessile mondiale passa per progettazioni ecocompatibili, incentivazione dell’utilizzo di materiali secondari, produttori più responsabili e consumatori più consapevoli. E sta tutto in tre lettere: ‘act’. Che in inglese significano ‘agire’ – imperativo ineludibile di fronte all’urgenza della tripla crisi del cambiamento climatico, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento. Ma ‘act’ è anche l’acronimo di Agenda on Circular Textiles, la roadmap che nei prossimi anni dovrà guidare i governi delle principali economie del pianeta, con l’Italia in testa, lungo il percorso per ridurre l’impatto ambientale e sociale del settore dell’abbigliamento, e promuovere modelli di produzione e consumo sempre più sostenibili e circolari. L’intesa sull’agenda è arrivata nei giorni scorsi a Roma al termine della presidenza italiana del G7 ambiente, e completa i lavori avviati ad aprile di quest’anno in occasione dell’assise Clima, Energia e Ambiente di Venaria Reale. “È un’iniziativa nata insieme ai nostri colleghi francesi, che hanno un tessuto industriale molto vicino al nostro” spiega a Ricicla.tv Laura D’Aprile, capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del Ministero dell’Ambiente e coordinatrice del gruppo di lavoro G7 che ha messo mano alla definizione dell’agenda.

“Un set di azioni concrete” si legge nell’intesa, “da implementare su base volontaria in un orizzonte di breve-medio periodo” per provuovere un “cambiamento sistemico” capace di “ridurre le pressioni e gli impatti sociali, ambientali e climatici derivanti dai prodotti tessili e la produzione e il consumo di abbigliamento, pur mantenendo i benefici economici”. Un cambio di paradigma non più rimandabile, alla luce di numeri che inchiodano il settore alle sue responsabilità ambientali e sociali. Secondo i calcoli dell’Agenzia europea per l’ambiente, infatti, l’industria della moda è responsabile ogni anno del 10% delle emissioni climalteranti in atmosfera, del 20% dell’inquinamento globale di acqua potabile e del 35% di microplastiche primarie disperse nei fiumi e nei mari. Per questo il G7 ACT individua “sei priorità d’azione declinate in misure da adottare a livello nazionale e misure da adottare in ottica cooperativa – chiarisce D’Aprile – tenendo conto del fatto che, alla luce delle dimensioni del mercato del tessile e della moda, l’azione deve necessariamente avere una portata globale”.

In cima alla lista delle priorità, la necessità di allungare la vita media dei prodotti attraverso “la promozione di quadri regolatori che possano garantire la raccolta separata, la selezione e il riciclo dei rifiuti tessili, ma anche la riparazione e il riutilizzo”, spiega D’Aprile. Una sfida nell’ambito della quale “si colloca anche il tema della responsabilità estesa del produttore”, aggiunge. Tema sul quale, come si vedrà, l’Italia è già in una fase avanzata di riflessione. L’intesa punta poi ad aumentare la trasparenza e la omogeneizzazione delle informazioni sulla sostenibilità dei prodotti immessi a mercato, “a supporto dei consumatori” dice, visto che “il cambiamento delle abitudini di consumo è essenziale per contrastare il modello ‘fast fashion’”. L’intesa impegna per questo i paesi firmatari a supportare le imprese che sviluppino materiali innovativi e adottino processi produttivi efficienti e a superare gli ostacoli economici e normativi allo sviluppo di modelli di business circolari “ad esempio in termini di consumi idrici, uso di sostanze chimiche o di contributo alla decarbonizzazione”, spiega D’Aprile. Anche in questo caso i membri del G7 lavoreranno alla “condivisione delle migliori pratiche – si legge nell’intesa – per migliorare la progettazione e la diffusione di sistemi di responsabilità estesa del produttore e altre misure di policy per includere equamente i costi della gestione dei rifiuti e gli impatti ambientali nel prezzo dei prodotti tessili”.

Tra le sfide più ambiziose lanciate dall’agenda G7 quella di colmare le lacune nella circolarità degli abiti usati e dei rifiuti tessili, visto che al momento “come è noto – dice la dirigente MASE – grandissimi quantitativi di tessili raggiungono destinazioni in cui non sono riutilizzati, ma costituiscono solo enormi quantità di rifiuti che affliggono le popolazioni dei paesi terzi e meno sviluppati”. Un obiettivo che va di pari passo con l’impegno a rendere più efficiente il riciclo dei rifiuti tessili non riutilizzabili rilanciando la domanda di fibre secondarie (e in generale di risorse sostenibili) con un meccanismo di incentivi e disincentivi economici. “Il mercato delle materie prime seconde, così come quello delle materie sostenibili, devono essere sostenuti con incentivi economici per garantire la competitività del settore. Un tema che riguarda tutte le filiere dell’economia circolare, e in particolare il settore dei tessuti e dei filati”. Per spingere la produzione e l’utilizzo di risorse rinnovabili e meno impattanti, anche sotto il profilo sociale, “è fondamentale la tecnologia, come quella che stiamo finanziando con il PNRR – chiarisce D’Aprile – ma bisogna anche garantire collaborazione a livello europeo e internazionale per applicare barriere all’utilizzo di materiali che non siano sostenibili”.

Al pari di quanto accaduto nell’ambito delle negoziazioni sul G7 ACT, il percorso tracciato dall’intesa vede l’Italia pronta a ricoprire il ruolo di paese guida, come confermano le “tantissime startup che abbiamo avuto modo di conoscere e raccontare durante il G7 – dice D’Aprile – ma anche i nuovi distretti industriali, come il polo che si sta sviluppando in Veneto per il riciclo delle attrezzature sportive, in particolare gli scarponi da montagna”. Realtà innovative, che si innestano in un tessuto manifatturiero caratterizzato da eccellenze secolari come Prato e Biella, ma anche da una solida rete di operatori della selezione, preparazione al riutilizzo e riciclo degli abiti usati, che “in Italia sono molto sviluppati”, spiega D’Aprile e che fanno del nostro paese un laboratorio ideale per fondere tradizione e innovazione nell’ottica della circolarità.

Un laboratorio anche sul piano delle policy. “Stiamo lavorando da tempo su uno schema di regolamento EPR per l’introduzione della responsabilità estesa del produttore nel settore tessile”, spiega D’Aprile, chiarendo che dopo il giro di consultazioni sulla prima bozza di testo “a gennaio convocheremo tutte le associazioni settoriali per avanzare proposte su un testo che verrà nuovamente posto in consultazione”. L’auspicio è che nel frattempo si concluda la revisione della direttiva europea quadro sui rifiuti, che nelle intenzioni di Bruxelles dovrà introdurre l’obbligo per tutti gli Stati membri di istituire sistemi EPR armonizzati per il tessile e l’abbigliamento. I negoziati tra Commissione, Consiglio e Parlamento sono ripresi in autunno dopo la pausa elettorale e dovrebbero terminare tra la fine del 2024 e le prime settimane del 2025. L’obiettivo, dice D’Aprile, è quello di farsi trovare già pronti con “un testo che possa essere il più possibile bilanciato e che possa costituire un primo riferimento a livello europeo per altri paesi nello sviluppo della disciplina comunitaria di settore”, conclude. Nel percorso verso un tessile sostenibile e circolare, l’Italia è pronta ad aprire la strada.

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