Con un +0,3% registrato lo scorso anno la produzione di rifiuti ha segnato una crescita in linea con la generalizzata ripresa dei consumi, ma si è trattato di un’inversione di tendenza dopo anni di cali. Ciò nonostante la Tari, la tassa sui rifiuti, in cinque anni (tra 2010 e 2015) è impennata nell’ordine del 55% che in valore assoluto si è tradotta in un peso di circa 3 miliardi di euro in più per le tasche dei contribuenti. La denuncia è arrivata nei giorni scorsi dalla Confcommercio, che ha reso noto i dati elaborati tramite un’indagine della stessa associazione. Sul banco degli imputati le amministrazioni comunali e le loro inefficienze, vera causa primigenia degli sprechi dietro ad un aumento che – dati alla mano – sarebbe altrimenti immotivato. Sprechi che, come sottolineato dallo stesso presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, «sono stimati nell’ordine di 1,3 miliardi di euro».
Una responsabilità che diventa ancora più palese quando vengono messe a confronto le tariffe sui vari territori: in alcuni casi i divari di costo sono enormi, con una spesa di gestione rifiuti che, a parità di livelli qualitativi di servizio, evidenzia notevoli disparità anche tra comuni limitrofi con una forbice che arriva ad allargarsi fino a picchi che sfiorano il 900%. Quasi dieci volte tanto.
Tra i Comuni capoluogo, si legge nel report di Confcommercio, il più virtuoso, nel periodo di riferimento, è Fermo, nelle Marche, con un calo del 52%, mentre a Brindisi si è registrato l’incremento più significativo, nell’ordine del 97,5%. Più in generale il 62% dei capoluoghi di provincia ha registrato un rapporto tra qualità del servizio e spesa erogata decisamente insoddisfacente, sia in riferimento alle proprie necessità che, per l’appunto, rispetto al servizio effettivamente goduto. Non esattamente un esempio in grado di rinvigorire la “tax compliance” nostrana, insomma, specialmente quando il discorso si sposta sugli operatori di commercio, sottoposti ad un vero e proprio salasso.
«È assolutamente necessario applicare con rigore il criterio del fabbisogno e dei costi standard per evitare che le imprese sopportino carichi fiscali eccessivi e crescenti – ha dichiarato il presidente Sangalli – da tempo sosteniamo che il livello di pressione fiscale e di costi sulle imprese, di fatto, impedisce al nostro Paese di crescere a un ritmo sostenuto. Oggi le imprese sono penalizzate da costi dei servizi pubblici che continuano a crescere in modo ingiustificato: le nostre imprese del commercio e del turismo – ha concluso il numero uno di Confcommercio – non possono pagare più gli sprechi della Pubblica Amministrazione».