Nel 2022 le principali imprese del waste management italiano hanno superato gli 11 miliardi di euro di valore della produzione, che si sono tradotti in 27 miliardi di euro di valore condiviso per il sistema Paese. Lo scrive Althesys nell’ultimo WAS report
Nonostante la congiuntura complicata, le aziende del waste management italiano continuano a crescere e consolidarsi. Nel 2022 le 115 principali realtà di settore attive sul mercato degli urbani hanno generato un valore della produzione di oltre 11 miliardi di euro, con il dato medio passato nell’ultimo anno da 88,3 a 95,1 milioni. Segno che il comparto resta frammentato, ma anche che il processo di consolidamento e industrializzazione degli operatori sembra aver cambiato passo. Lo riporta Althesys nell’ultimo WAS report, che come ogni anno fa luce sulle tendenze strategiche in atto nel mercato nazionale della gestione rifiuti. Un settore capace oggi di generare benefici economici che vanno ben al di là del perimetro di bilancio delle singole aziende: per ogni euro di valore aggiunto della gestione dei rifiuti, calcola Althesys, se ne producono infatti oltre tre di valore condiviso nel sistema Paese. “Sono oltre 27 miliardi di euro in termini di ricadute complessive – spiega il CEO di Althesys Alessandro Marangoni – un valore condiviso che quest’industria distribuisce oggi su tutto il sistema economico italiano”. E che nel 2022 ha rappresentato l’1,4% del PIL.
Venendo all’analisi di mercato vera e propria, sul fronte urbani, rileva il report, i top 115 player sono pubblici (61%) e situati nel Nord Italia (56%). Nonostante l’aumento dell’inflazione e i maggiori prezzi dell’energia, più di un terzo dei principali operatori registra una crescita, con un valore della produzione di 11,05 miliardi di euro, in aumento del 10% sul 2021 e generato per il 92% da aziende attive nei settori della raccolta e del trattamento. Un dato, quello sull’incremento del valore, in linea con l’andamento degli investimenti, che toccano quota 955 miliardi di euro, in crescita dell’11,5%, per il 64,3% messi in campo dalle grandi multiutility e destinati per il 58% alla realizzazione di impianti. Particolarmente vivace il ramo della selezione e valorizzazione dei materiali da raccolta differenziata, con un valore della produzione cresciuto del 15,7% rispetto al 2021, fino a quota 3,3 miliardi, per effetto dell’incremento del prezzo dei materiali ma anche degli investimenti in nuova capacità di trattamento.
Più eterogeneo il quadro sul fronte dei rifiuti speciali, che vede sfumare i confini con quello degli urbani. Oltre un terzo dei principali operatori, incluse 25 utility, è infatti attivo in entrambi i comparti, con un valore della produzione di 5,6 miliardi di euro. Le maggiori 55 imprese specializzate totalizzano invece un valore della produzione di 3,86 miliardi di euro, in crescita dell’8% soprattutto per effetto di operazioni di acquisizione, ma il settore resta frammentato: sebbene i primi 10 operatori pesino per circa il 63% del giro d’affari complessivo, resta significativa la presenza di piccoli operatori specializzati e di piccole-medie imprese diversificate, che contano per l’82% del totale. Il 91% delle aziende gestisce rifiuti speciali diversi da quelli da costruzione e demolizione, mentre le attività di smaltimento, incluso amianto, e di bonifica seguono rispettivamente con il 64% e il 60%. Anche nel mercato degli speciali prevalgono operatori del Nord, il 51% di quelli rilevati, contro il 31% di Sud e Isole e il 18% del Centro Italia.
Le tendenze strategiche che emergono dall’analisi del settore, riporta Althesys, indicano una grande vivacità a dispetto della congiuntura resa complicata da inflazione e costi energetici. Diverse le acquisizioni, sia per conquistare nuove fette di mercato che per integrare verticalmente attività lungo la filiera. Tante le operazioni guidate dalla ricerca di soluzioni tecnologiche innovative, soprattutto sul fronte del riciclo chimico delle plastiche e del biometano, ma anche sul campo delle materie prime critiche, della fibra di carbonio e dei fanghi da depurazione. “Da un lato – commenta Marangoni – vediamo investimenti significativi, anche grazie al PNRR, e dall’altro una spinta all’innovazione che arriva dall’evoluzione tecnologica. Si stanno sviluppando soluzioni per recuperare materiali che una volta finivano sostanzialmente a smaltimento – sottolinea – ma si sta anche investendo in modelli gestionali nuovi e più efficienti”.
Sul piano degli investimenti, spiega il report, va registrato anche il contributo dei finanziamenti PNRR: le linee d’intervento per i nuovi impianti di trattamento dei rifiuti urbani e delle frazioni ‘critiche’ come fanghi, prodotti assorbenti e scarti tessili, hanno destinato 900 milioni di euro a 93 interventi, ancora tutti o quasi in fase intermedia, frenati dalle complessità legate alla scelta dell’attuatore, ma anche da ritardi nell’iter autorizzativo e dalle immancabili opposizioni locali. In generale, riporta Althesys, le iniziative sono in fase più avanzata nei territori che già dispongono di operatori e infrastrutture industriali, e segnatamente nelle regioni del Nord. Un paradosso, alla luce dell’obiettivo di recuperare i divari territoriali. Emblematica la situazione sul fronte dei rifiuti organici. A fronte di stime al 2025 che indicano un surplus di trattamento di due milioni di tonnellate al Nord e un deficit di circa 60mila rispettivamente per Centro e Sud, la capacità di trattamento finanziata dal PNRR supera le 640mila tonnellate, per il 57% proprio al Nord.