CDP: “Con l’economia circolare imprese più resistenti agli shock di mercato”

di Redazione Ricicla.tv 10/02/2025

Secondo Cassa Depositi e Prestiti nel 2024 il 42% delle imprese italiane ha adottato almeno una pratica di economia circolare, migliorando anche la propria capacità di resistere ai turbamenti delle catene di approvvigionamento delle materie prime. Ma i benefici economici ammontano solo al 15% del potenziale teorico stimato al 2030


Maggiore capacità di investimento, minore esposizione agli shock sul mercato delle materie prime, più risparmi sui costi di produzione. Sembra la ricetta perfetta per la competitività, e in parte lo è, ma è anche quello che viene fuori dall’analisi condotta da Cassa Depositi e Prestiti sulle imprese italiane che, nel 2024, hanno adottato pratiche di economia circolare. Quasi la metà delle aziende, si legge nel brief pubblicato in questi giorni, ne ha adottata almeno una, “trasformando la limitata disponibilità di risorse naturali sul territorio in un punto di forza” e contribuendo a fare dell’Italia uno dei paesi più virtuosi in Europa.

L’Italia si posiziona al quinto posto tra i Paesi dell’Unione europea in termini di dipendenza dalle importazioni (48% contro un valore complessivo UE del 22%), ma proprio questo “ha spinto il Paese a sviluppare modelli produttivi più efficienti e sostenibili“. Un modello senza rivali in termini di riciclo, con buone performance sul piano della produttività delle risorse (quarto in Ue), ma soprattutto con un tasso di utilizzo di materiali circolari, che nel 2023 si attesta al 20,8%, quasi il doppio della media Ue (11,8%) e superiore alle principali economie europee. Abbastanza diffuse anche le pratiche di eco-progettazione, mentre risultano ancora marginali interventi per allungare il ciclo di vita dei prodotti e per la loro riparazione.

Complessivamente, calcola CDP, il 42% delle imprese ha già adottato pratiche di economia circolare, che nel 2024 hanno generato un risparmio rispetto ai costi di produzione delle imprese manifatturiere superiore a 16 miliardi di euro. In termini di merito creditizio, CDP registra una generazione di cassa superiore di 1,5 volte rispetto alle imprese tradizionali, un minore ricorso all’indebitamento e una minore probabilità di default, anche in periodi di “forti shock esogeni legati alle materie prime”. Un contributo fondamentale sul piano della competitività, tanto più prezioso in una congiuntura caratterizzata dall’aumento dei costi e dell’incertezza. Peccato che i benefici economici generati dalle pratiche di circolarità rappresentino solo il 15% del potenziale teorico al 2030, che CDP stima in 119 miliardi di euro.

A tenere a freno la transizione, spiega il brief, oltre al difficile contesto economico degli ultimi anni, anche la frammentazione del tessuto produttivo e le difficoltà strutturali e operative per le PMI, che rappresentano l’ossatura del manifatturiero italiano ma che scontano ancora mancanza di know-how e limitato accesso al credito. Un contesto nel quale, si legge, quasi una impresa su due ricorre all’autofinanziamento, effettuando per questo soprattutto investimenti di piccola taglia (non superiori ai 50 mila euro) con tempi di ritorno brevi.

Per realizzare appieno il potenziale di circolarità delle imprese italiane, avverte CDP, serve introdurre strumenti di incentivazione, ma anche tarare meglio quelli già esistenti. Come il Piano Industria 5.0, che a differenza del precedente 4.0 non contempla l’economia circolare come finalità accanto alla transizione digitale ed energetica. Serve poi tagliare gli oneri di reportistica per le PMI, facilitando l’accesso ai canali di finanza sostenibile, come la Commissione Ue si sta preparando a fare con l’annunciato provvedimento ‘omnibus’, ma anche promuovere iniziative di rete, progetti strategici trainati da grandi imprese che possano coinvolgere le PMI e conversioni circolari estese agli interi distretti produttivi.

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