Chicco Testa: “Non abbiamo mai chiesto quattrini, abbiamo chiesto autorizzazioni”
Non fondi, ma autorizzazioni per consentire un capillare sviluppo impiantistico nel Paese. È questo l’appello lanciato dalle associazioni di categoria all’alba della fase attuativa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che destina proprio al comparto degli impianti un miliardo e mezzo di euro. L’obiettivo è chiaro: per poter parlare di vera transizione ecologica i target di raccolta non bastano più, perché se a un buon livello di differenziata non corrispondono ottime percentuali di riciclo, della transizione non resterà che uno slogan. Questo quanto emerso dall’evento “Ri-Conoscere l’Ambiente”, l’iniziativa green di Sienambiente che nei giorni scorsi ha aperto un focus sui temi dell’economia circolare, della valorizzazione dei materiali e della sostenibilità.
E se è vero che il miglior rifiuto è proprio quello non prodotto, allora sarà indispensabile per vincere la sfida della transizione verde impegnarsi anche su un lavoro di prevenzione, a partire da modelli di produzione e di progettazione dei prodotti più sostenibili per impedire che elementi potenzialmente dannosi per la salute umana e per l’ambiente entrino nel mercato europeo. “Sicuramente a livello europeo ci sarà molto da fare. Io spero che soprattutto nell’uso dei fondi del Recovery Fund, ma in generale nelle politiche che metteremo in campo a livello nazionale, non ci si focalizzi solo sulla parte finale, quindi della gestione del rifiuto a valle, ma si lavori molto di più su ciò che è a monte, quindi sulla prevenzione. Su questo aspetto penso ci sia molto da fare perché noto una carenza del nostro Piano nazionale” spiega Eleonora Evi, europarlamentare del Europa Verde.
È chiaro, però, che solo la prevenzione non può bastare, perché per chiudere il ciclo dei rifiuti all’Italia occorrono impianti di gestione, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo autorizzazioni che tardano ad arrivare, pratiche e lungaggini burocratiche che rallentano l’iter. Solo nel migliore dei casi, poi, dopo questa complessa trafila, si arriva alla costruzione e alla messa in funzione dell’impianto. Ma nel frattempo passano anni e i rifiuti, ovviamente, devono essere gestiti. È così che iniziano i lunghi viaggi verso altre regioni o in casi estremi, anche in altre nazioni, percorrendo chilometri e chilometri che in termini di costi si traducono in danni per le tasche del Paese e in termini di emissioni in danni ancor più gravi per l’ambiente. “Noi abbiamo seminato erbacce per anni e anni. Abbiamo costruito in questo Paese una cultura del no, che ha prodotto effetti nefasti e ne siamo un po’ tutti responsabili” dichiara Chicco Testa, Presidente FISE Assoambiente.
Una cultura del no da sradicare affinché il rifiuto non sia più visto come problema da arginare, ma come una risorsa da trasformare in qualcosa di nuovo, riciclato e, meglio ancora, se ulteriormente riciclabile. Purtroppo, però, l’Italia non eccelle per omogeneità con il Settentrione che storicamente primeggia sulle regioni del Mezzogiorno, la Lombardia ad esempio ha già raggiunto i target europei con un +60% di riciclo e -5% di smaltimento in discarica. Ma i divari territoriali, spesso, si manifestano anche all’interno della stessa regione. È il caso della Toscana, divisa tra un Sud che procede spedito lungo il percorso di economia circolare e un Nord che, invece, non riesce a chiudere il proprio ciclo di rifiuti.
“La Toscana del Sud ha gli impianti e la Toscana del Nord ne è quasi priva e tutti quelli che vanno incontro a scadenze, non vengono ‘revampati’, ma vengono chiusi. Ecco perché ci sono impianti in provincia di Siena, di Arezzo e qualcosa anche a Grosseto, ma altre province sono totalmente sprovviste, come Firenze che ha le maggiori necessità” spiega Alessandro Fabbrini, presidente Sienambiente. C’è ancora tanto su cui lavorare, ma senza una reale presa di coscienza della necessità di nuovi impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti, i fondi del PNRR non basteranno all’Italia per vincere la sfida.