Discariche chiuse e riaperte, flussi deviati e conferimenti riorganizzati a colpi di delibere emesse in alcune fasi a ritmo addirittura quotidiano: una frequenza superata soltanto, forse, dalle frizioni con le amministrazioni comunali. Tre mesi dopo la salvifica ordinanza del 7 giugno scorso accettata e siglata dal Ministero dell’Ambiente, il ciclo dei rifiuti in Sicilia non ha trovato quella normalizzazione che avrebbe dovuto aprire la strada agli interventi strutturali di cui l’isola ha disperato bisogno.
Il primo ostacolo sono stati, per l’appunto, gli impianti e le amministrazioni comunali: la possibilità di incrementare le capacità ricettive nell’ordine del 30% su tutti gli impianti si è scontrata con difficoltà logistiche per i conferimenti e strutturali per gli impianti (in modo particolare per Bellolampo, l’unico grande impianto pubblico regionale) che pur mettendosi a disposizione necessitava di una riorganizzazione del personale. Necessità rivelatasi in costante aggiornamento, considerato che per far quadrare i conti Crocetta e i suoi hanno dovuto riconfigurare calendario e mappatura dei flussi più e più volte.
È probabilmente da ascriversi (almeno parzialmente) a questa incertezza il ritardo finora più grave di Palazzo d’Orleans rispetto agli accordi presi con Roma 90 giorni fa: vale a dire il mancato aggiornamento del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti. Il lavoro propedeutico alla riorganizzazione del ciclo siciliano, infatti, prevedeva una mappatura dell’impiantistica a disposizione ed un duplice piano d’azione con relativo cronoprogramma: da una parte per aggredire la differenziata, dall’altra per realizzare la nuova impiantistica necessaria.
«Contiamo di approvarlo e poterlo presentare tra ottobre e novembre prossimo»: queste le parole dell’assessore regionale all’energia e ai rifiuti, Vania Contrafatto, in un’intervista rilasciata al Tgr Sicilia nei giorni scorsi. Peccato che l’accordo con il governo poneva una scadenza a fine agosto, e in punta di diritto il mancato rispetto dei termini aprirebbe all’esercizio di poteri sostitutivi da parte di Roma.
Resta da dirimere anche il nodo inceneritori, parte integrante del “Piano che non c’è”: stando agli accordi entro fine ottobre bisognerà predisporre i bandi per realizzare impianti in grado di assorbire le 700mila tonnellate annue di fabbisogno di incenerimento decretate dallo Sblocca Italia. La stessa Contrafatto ha spiegato che la giunta starebbe «provvedendo ad individuare sei o otto siti che siano di basso impatto ambientale e affinché i rifiuti vadano in questi mini impianti percorrendo meno strada possibile», anche se non mancano uscite in cui il governatore Crocetta ha ribadito la sua opinione sui termovalorizzatori, ritenuti non indispensabili.
Entro fine agosto andavano anche trovati accordi per destinare quote di secco tritovagliato prioritariamente fuori regione, ma fatta eccezione per la disponibilità di inizio agosto della Regione Piemonte per dei conferimenti eccezionali nel termovalorizzatore di Torino (dopo i quali, intorno al 10 del mese scorso, Crocetta ha sbandierato la fine dell’emergenza) gli unici conferimenti extra risultano essere quelli di 10mila tonnellate verso la Bulgaria. Operazione tra l’altro autorizzata dalla Regione, ma di iniziativa della Sicula Trasporti (l’azienda che gestisce la discarica di Lentini).
Insomma, con tutte le attenuanti del caso, dopo i primi tre mesi c’è da registrare un’ampia inadempienza sugli accordi presi tra Palermo e Roma: e pensare che contemporaneamente doveva esserci un miglioramento complessivo della differenziata del 3% su base trimestrale (quindi del 6% entro il 30 novembre) in base al quale il governo centrale intendeva monitorare e valutare i passi in avanti del ciclo siciliano. In altre parole è tempo di iniziare a tirare le somme e a questo punto non è ben chiaro per quale motivo Ministero e Presidenza del Consiglio continuino ad essere così elastici su paletti che in sede di contrattazione, tre mesi or sono, erano stati fissati tanto rigidamente.