Cade ufficialmente il tabù inceneritori per la Sicilia. Il ciclo rifiuti isolano è ormai da anni sull’orlo del baratro, tra percentuali di differenziata a malapena in doppia cifra e un sistema improntato su una rete di discariche pressoché saturo: in queste condizioni gli impianti di incenerimento dei rifiuti sarebbero una necessità strutturale prima ancora che un obbligo. Già, perché vale la pena ricordare che l’art.35 dello Sblocca Italia – sebbene a quasi due anni dalla sua approvazione in Parlamento manchi ancora di un decreto attuativo sulla redistribuzione nazionale delle capacità macroregionali di termovalorizzazione – è legge dello Stato, ed è da esso che deriva il vincolo fissato dagli accordi di giugno tra Governo centrale e Regione Sicilia per mettere l’isola in condizione di bruciare 700mila tonnellate di rifiuti ogni anno.
Necessità o obbligo che fosse, però, il fumantino presidente della Regione, Rosario Crocetta, sembrava volesse andare diritto per la propria strada ribadendo a più riprese nel corso degli ultimi mesi un “no” secco a questa soluzione. Opposizione probabilmente rientrata a forza dopo le pressioni esercitate dal Ministero a fronte dei ritardi che la Sicilia sta già registrando rispetto agli obiettivi dell’intesa di giugno. Uno su tutti il Piano Rifiuti che doveva vedere la luce a fine agosto: proprio la scorsa settimana in occasione di un vertice a via Cristoforo Colombo il presidente Crocetta e l’assessore regionale Vania Contrafatto hanno sottoposto allo stesso ministro Gian Luca Galletti (assieme ad una folta schiera di tecnici e dirigenti ministeriali) una prima bozza dell’atteso Piano.
Le trattative sono in divenire, ma pare confermata la scelta di evitare i due megaimpianti previsti dall’ultima versione dello Sblocca Italia uscita oltre sei mesi fa dalla Conferenza Stato-Regioni. La capacità totale della rete dovrà comunque raggiungere le 700mila tonnellate annue complessive, ma l’orientamento sembrerebbe essere quello di realizzare due termovalorizzatori gemelli da 200mila tonnellate nelle aree metropolitane più popolose (Palermo e Catania). Il fabbisogno residuo, pari a 300mila tonnellate, sarà invece distribuito tra altri quattro impianti (da 60-80mila tonnellate l’uno) che andranno realizzati in aree strategiche così da servire in maniera ottimale tutte le province. Ma gli inceneritori potrebbero essere anche di più: nella bozza si considera l’opzione di arrivare addirittura a quota 18. Si tratterebbe, evidentemente, di un caso limite, ma a conferma della convinzione che creare una rete capillare di microimpianti (da realizzarsi esclusivamente nelle discariche pubbliche attive, nelle discariche dismesse e all’interno o a ridosso delle aree industriali) aiuti ad abbattere l’impatto ambientale delle emissioni degli inceneritori stessi oltre che dei trasporti, senza ingolfare la rete stradale.
Per quanto si possa valutare positivamente la logica di una simile strategia, è difficile non porsi dei dubbi sulla fattibilità economica di questo aspetto del Piano. Impossibile non ipotizzare che i bandi per la realizzazione di impianti così piccoli possano andare deserti se gli investitori non dovessero valutare conveniente la realizzazione di impianti progettati per un flusso di rifiuti tanto limitato: uno scenario che allungherebbe ulteriormente i tempi laddove servono invece soluzioni il più rapide ed efficaci possibile. Così come in un territorio dove la frammentazione della gestione dei rifiuti ha fatto tanti danni scoprendo il fianco alle infiltrazioni della malavita organizzata bisognerebbe ancor più vigilare per evitare che la raccolta differenziata non venga ulteriormente sabotata così da garantire un alto tonnellaggio in ingresso. Un paradigma realizzatosi su larga scala in Campania quindici anni fa il cui ricordo se non deve far indulgere in insostenibili immobilismi va comunque tenuto come imperituro monito.
Peraltro spazio per la politica ce n’è eccome: i termovalorizzatori e gli inceneritori non risolveranno tutti i problemi dell’isola neppure quando (e se) saranno tutti in funzione. Quando si parla di 700mila tonnellate non si affronta la produzione attuale di rifiuti, ma una proiezione disegnata ipotizzando una raccolta differenziata a quota 65%. Quasi un’utopia se si guarda ai numeri attuali: molti Comuni non hanno saputo (o potuto) realizzare neppure quel +3% richiesto a giugno per avviare la normalizzazione del ciclo. Per ora il Ministero ha convenuto con Palazzo d’Oreleans di diffidare gli Enti locali inadempienti (la suddetta ordinanza apriva all’esercizio di poteri sostitutivi), ma servirà qualcosa di più di una tirata d’orecchie per avvicinare la Sicilia ad una parvenza di normalità.