Scadenze, rinvii e delibere, tutto sempre sul filo dell’emergenza, annunciata, denunciata e smentita. È l’effetto della lotta di competenze che l’ordinanza siglata dal ministero ad inizio giugno ha scatenato nel tentativo di avviare la riorganizzazione del ciclo dei rifiuti in Sicilia. O per meglio dire di normalizzarlo senza dichiarare lo stato di emergenza laddove, però, i fatti lasciano poco margine al legittimo dubbio. Era l’8 giugno quando l’ordinanza numero 5 fissava le tappe forzate entro cui la Regione avrebbe dovuto muoversi utilizzando anche alcune deroghe e qualche potere speciale per evitare il commissariamento del Governo nazionale. Un regime straordinario che durerà fino al 30 novembre quando si tireranno le somme.
Il disegno di legge per la riorganizzazione della governance regionale dei rifiuti che doveva prevedere una drastica riduzione degli ambiti territoriali era previsto entro una settimana. Tappe forzate, ma non troppo: per il rotto della cuffia si è riusciti a portarla in giunta e il varo definitivo dovrebbe essere di questi giorni (se non di queste ore). Entro fine luglio dovrà essere adottato un piano d’azione anche attraverso l’azione commissari straordinari, ma il peso del ritmo lento della burocrazia si sta già facendo sentire. Con una nuova ordinanza del 30 giugno l’assessorato regionale ha ribadito questa scadenza prevedendo la nomina di eventuali commissari per accertare o sostituire i dirigenti delle Srr, a garanzia dell’adozione di piani che puntano a migliorare le performance di raccolta differenziata. Entro il 15 luglio dovranno esserci affidamenti dei servizi negli ambiti territoriali individuati e nomina dei relativi commissari, anche perché ad agosto e a novembre ci saranno le verifiche dei primi risultati dei piani adottati a loro volta d’urgenza dalle grandi città nelle scorse settimane: è richiesto il +3% di raccolta per entrambe le scadenze.
La Regione intanto si scontra con i Comuni e con le loro problematiche organizzative. Dopo un traghettamento scaduto a fine giugno, con il mese di luglio doveva entrare in vigore l’allegato B all’ordinanza dell’8 giugno che doveva far scattare l’ulteriore balletto dei conferimenti in discarica dopo quello già intervenuto in seguito alla chiusura dei siti di Siculiana e Motta Sant’Anastasia. In particolare dovevano essere 30 le amministrazioni deviate sul sito palermitano di Bellolampo già dal primo luglio: lo schema è stato rivisto, riducendo a 27 le amministrazioni indirizzate alla discarica gestita dalla Rap dopo che per qualche giorno i cancelli sono stati chiusi per permettere alla municipalizzata del capoluogo isolano di organizzarsi per ricevere 200 tonnellate di rifiuti in più al giorno. Sullo sfondo da una parte la perenne polemica del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, con il governo regionale, e dall’altra quella dei sindaci del Trapanese che, costretti dall’ordinanza a tenere aperta la discarica della Trapani Servizi in deroga fino al 31 luglio, hanno inviato al presidente una nota per denunciare l’emergenza già in atto nelle strade. Il dispositivo concertato da Crocetta a Roma, insomma, è ai limiti della praticabilità: resta la possibilità di ricorrere alla requisizione degli impianti per scavalcare le varie difficoltà ed intemperanze degli amministratori, e non è detto che la gestione emergenziale non lo porti a simili risoluzioni, ma le difficoltà del territorio restano.
«C’è chi inventa un’emergenza che non c’è» ha dichiarato il governatore siciliano commentando le polemiche sorte intorno all’invio dei rifiuti fuori regione. Entro il 7 luglio, infatti, sul suo capo pende l’obbligo di stipulare accordi con gli altri governatori regionali in giro per l’Italia per smaltire i rifiuti sui loro territori e permettere di espletare le gare entro il 30 agosto. Crocetta però si è mosso soprattutto in direzione di uno smaltimento oltreconfine, cercando accordi dentro e fuori l’Unione Europea: le destinazioni potrebbero essere Portogallo, Olanda, e/o il Nordafrica. Anche i gestori degli impianti messi sotto stress dall’ordinanza emergenziale si stanno muovendo e si apprestano a sperimentare invii trasnfrontalieri: la più grande discarica in attività sull’isola, quella di Lentini, manderà in un cementificio bulgaro 10mila tonnellate di rsu siciliani, mentre per l’impianto Trapanese di Borronea si vocifera di deviare una quota dei conferimenti verso la Turchia.
Al netto di qualsiasi riorganizzazione, insomma, la Sicilia pare ben lungi dal raggiungere il traguardo dell’autosufficienza. Quello che serve sono gli impianti: entro il 14 giugno Palazzo d’Orleans avrebbe dovuto pubblicare tempi e costi di realizzazione degli impianti necessari. Di questo cronoprogramma non pare esserci traccia, ma anche volendo chiudere un occhio su questa scadenza, quella da non dimenticare è proprio la più lontana: quella del 30 agosto. Il ministero ha fatto mettere nero su bianco l’impegno ad aggiornare il piano regionale di gestione dei rifiuti urbani tenendo conto dello Sblocca Italia, e cioè prevedendo di destinare ad incenerimento 700mila tonnellate di indifferenziato. Crocetta torna a coniugare lotta e governo: «Non esiste nessun piano di localizzazione dei termovalorizzatori – ha dichiarato – anche perché noi non costruiremo termovalorizzatori, per intenderci. Noi daremo delle indicazioni rispetto ai siti compatibili». Un’interpretazione, se così la si vuole chiamare, che difficilmente terrà lontano lo spettro del commissariamento di Roma.
Il programma del governo che prevede l’incenerimento di 700 mila tonnellate di rifiuti in Sicilia ancora non è in vigore, non è nemmeno chiaro se dovrà essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica e soprattutto viola la direttiva europea del 2008 sulla Gerarchia dei rifiuti. Quest’ultima stabilisce che prima di pensare agli inceneritori bisogna dare priorità alla prevenzione (cioè alla legislazione volta a ridurre la produzione di rifiuti), raggiungere gli obiettivi di differenziata e dotarci degli impianti necessari al riciclaggio, compresi gli impianti TMB all’avanguardia che puntano a massimizzare il recupero di materia dall’indifferenziata.
Questa gerarchia va applicata in italia come in sicilia. Ed è l’unica via per uscire dall’emergenza. Con gli inceneritori (che tra l’altro non sarebbero realizzati prima di 4-5 anni) non si risolve nulla. Non solo si trasformerebbe in discarica l’aria che respiriamo e il suolo nel raggio di decine di Km ove le nanopolveri tossiche si depositerebbero, ma ci sarebbe ancora bisogno delle vecchie discariche: dove altrimenti vorreste metterle le ceneri (tossiche) prodotte dagli inceneritori?