La Regione Lombardia ottiene un pronunciamento dalla Corte Costituzionale sul contestato articolo 35 dello Sblocca Italia, ma non esattamente come se li aspettava. La Corte ha infatti dichiarato l’illegittimità di due aspetti della norma regionale sulla gestione dei rifiuti, la 26 del 2003, introdotti dal governo lombardo proprio quali recepimento del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014.
Si tratta proprio dello Sblocca Italia, che aveva spinto il legislatore regionale ad introdurre i commi 3-bis e 3-ter all’art.14 della suddetta legge tramite il dispositivo regionale del 30 dicembre 2014, poi impugnato dalla Presidenza del Consiglio conducendo alla sentenza della Corte Costituzionale giunta nella giornata di ieri, 12 maggio.
Il comma 3-bis è stato considerato illegittimo in quanto recita: «nel rispetto della programmazione regionale dei flussi dei rifìuti urbani, nonché dell’obiettivo di autosufficienza per il recupero e smaltimento degli stessi sul territorio regionale, con il termine “rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale” si intendono anche i rifiuti decadenti dal trattamento dei rifiuti urbani ». Una dicitura che si pone in contrasto con la disciplina nazionale, giacché farebbe ricadere tra gli rsu anche i rifiuti derivanti da attività di recupero e smaltimento, che per definizione rientrano nella categoria dei rifiuti speciali.
Uno sconfinamento improprio, insomma, quello della Regione Lombardia in una materia che è competenza esclusiva dello Stato.
Sconfinamento operato anche nel comma 3-ter che, dopo aver recepito la disposizione con il quale si obbligano i gestori degli impianti a versare un contributo di 20 euro a tonnellata per i conferimenti extraregionali di rsu previsti dallo stesso art.35 dello Sblocca Italia, prevede una precisazione che ha fatto scattare la “mannaia” della Corte Costituzionale sull’ultimo periodo, con il quale si intendeva subordinare il trattamento in impianti di recupero energetico ad un «accordo tra le regioni interessate».
A rendere particolarmente interessante il pronunciamento della Corte è il riferimento all’art.117 della Costituzione, in cui vengono sancite le materie rispetto alle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Una presa di posizione, quella che discende da questa sentenza, che potrebbe avere una volta di più una lettura negativa per la Lombardia. Solo pochi giorni fa, infatti, l’assessore regionale all’Ambiente, Claudia Maria Terzi, aveva rinfocolato l’opposizione proprio allo Sblocca Italia, ricordando l’impugnazione dell’articolo 35 proprio davanti alla Corte Costituzionale «considerandolo lesivo dell’autonomia e della capacità di programmazione per quanto riguarda la gestione dei rifiuti da parte delle Regioni. Assieme alla Regione Campania – ha proseguito l’assessore – abbiamo espresso parere negativo anche in sede di Conferenza Stato-Regioni quando si chiedeva di esprimere un parere relativamente alla conversione e ai primi decreti attuativi dell’art 35 dello Sblocca Italia».
Ma se il principio rivendicato è quello dell’autonomia, la sentenza della Corte non sembra assumere un’interpretazione che si sposi con la linea delle opposizioni. La Terzi ha tuttavia sollevato un’ulteriore richiesta, che potrebbe invece essere accolta in virtù della proporzione nazionale del Piano che, di fatto, deriva dall’individuazione della rete impiantistica di termovalorizzatori necessaria a realizzare gli obiettivi di riequilibrio del servizio contenuti dallo stesso Sblocca Italia: sottoporre a VAS (Valutazione Ambientale Strategica) il piano nazionale degli inceneritori «in modo che questo – ha detto la Terzi – possa essere oggetto di discussione da parte dei cittadini».
Dopo il confronto con la conferenza Stato-Regioni, infatti, lo schema di decreto attuativo dell’articolo 35 ha infatti assunto una definizione più chiara, individuando la necessità di 8 nuovi impianti per la termovalorizzazione di 1,8 milioni di tonnellate annue di rifiuti ripartite per macroaree. Lo Sblocca Italia definisce questi impianti come strategici per l’interesse nazionale, ma non è da escludere che oltre ai margini di contrattazione concessi alle Regioni nella redazione dei Piani di gestione si possa pensare alla necessità di passare per uno strumento decisionale in grado – per di più – di migliorare la comunicazione e la partecipazione del pubblico.