Con l’entrata in vigore della nuova definizione di rifiuto urbano in Italia si rischia il caos amministrativo.
È il classico caos amministrativo all’Italiana quello che sta accompagnando dal primo gennaio 2021 l’entrata in vigore della nuova definizione di rifiuto urbano. Lo dimostra il bizzarro caso della gestione dei rifiuti inerti derivanti da piccoli interventi di manutenzione, costruzione o demolizione, eseguiti direttamente dal conduttore o proprietario di un’abitazione. Parliamo cioè dei rifiuti che produciamo eseguendo in casa piccoli lavoretti in modalità “fai da te”: piastrelle, pezzi di intonaco, calcinacci e così via. Fino al 31 dicembre scorso il loro conferimento nelle isole ecologiche era garantito dal decreto ministeriale dell’8 aprile 2008, ovvero dal regolamento del Ministero dell’Ambiente per la gestione dei centri di raccolta dei rifiuti urbani, al fine di evitarne la dispersione incontrollata e favorirne il corretto recupero o smaltimento. Il problema è che la nuova definizione di rifiuto urbano introdotta dal decreto legislativo 116 del 2020, quindi da una norma di rango superiore al decreto ministeriale del 2008, esclude esplicitamente dal novero dei rifiuti urbani, tra gli altri, proprio “i rifiuti da costruzione e demolizione”.
Una previsione che vede gli operatori dividersi rispetto alla gestione di rifiuti di questa tipologia prodotti però da privati cittadini a seguito di “piccoli interventi”. La società che gestisce il servizio di raccolta e trasporto in 45 comuni della provincia di Alessandria, tra il tortonese e la Valle Scrivia, comunica ad esempio che «a partire dal 1° gennaio 2021, data in cui entreranno in vigore le nuove disposizioni in materia di classificazione dei rifiuti, i rifiuti derivanti da piccole attività di costruzione e demolizione “fai da te” saranno da considerarsi quali rifiuti speciali e, per questo, non conferibili al Centro di Raccolta». Ciò significa che anche per gestire quantità minime di rifiuto, i privati cittadini dovranno affidarsi a ditte specializzate e non più al servizio pubblico.
Stessa storia in Emilia-Romagna, dove però l’Agenzia Regionale Per i Rifiuti ha invitato i gestori a concedere ai cittadini un generoso mese di proroga. Poi, dal primo febbraio, niente più conferimenti nei centri di raccolta comunali. Ma basta spostarsi a pochi chilometri di distanza e lo scenario cambia drasticamente. Lo scorso 10 dicembre infatti dalla direzione ambiente della Regione Veneto parte una comunicazione nella quale si chiarisce che, sebbene la nuova disciplina di legge escluda i rifiuti da costruzione e demolizione dal novero dei rifiuti urbani, «risulta opportuno distinguere i rifiuti speciali prodotti da attività d’impresa di costruzione e demolizione», si legge, «dai rifiuti “inerti” prodotti da piccole manutenzioni domestiche». Per questo, scrive la Regione, «si conferma quale prerogativa essenziale per l’erogazione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani la garanzia al cittadino del ritiro di tali rifiuti». Anche, prosegue la nota, «allo scopo di prevenire lo scarico o l’abbandono incontrollato sul territorio di detti rifiuti».
Insomma, sul tema ognuno la pensa in un modo diverso. Tutti però convengono su un punto: e cioè che le singole letture restano valide fino ad un futuro, e da tutti auspicato, intervento interpretativo del Ministero dell’Ambiente. Nella speranza che negli uffici di Via Cristoforo Colombo qualcuno sia già al lavoro per sciogliere definitivamente questo nodo.