Dopo il richiamo, Bruxelles potrebbe avviare una nuova procedura d’infrazione contro l’Italia, colpevole questa volta di non aver spedito in Europa il programma di smaltimento dei rifiuti radioattivi. Il programma avrebbe dovuto essere adottato entro il 31 dicembre 2014 ed inviato a Bruxelles entro lo scorso 23 agosto, corredato dalla valutazione ambientale strategica. Ad oggi, però, non solo nessuno spiega perché ciò non sia ancora accaduto, ma addirittura i Ministeri competenti – Ambiente e Sviluppo Economico – sono completamente trincerati dietro un silenzio assordante rispetto all’andamento dei lavori (posto che questi siano in corso, naturalmente).
Secondo fonti bene informate, vicine al Ministero dell’Ambiente, il ritardo sarebbe da attribuirsi ad una diatriba tutta interna al Palazzo di via Cristoforo Colombo, tra due ex consulenti specializzati in materia e lo stesso Ministero dell’Ambiente. In sostanza, gli esperti, ai quali sarebbe stato affidato il compito di lavorare al programma, avrebbero avviato un contenzioso contro la pubblica amministrazione per chiedere l’assorbimento da parte dell’Ente. Solo di recente i due consulenti, sarebbero divenuti a tutti gli effetti dipendenti ministeriali. Difficile stabilire se siano stati effettivamente questi i motivi del ritardo, sta di fatto che fonti affidabili riferiscono come, al termine di questa vicenda, si sia finalmente messo mano alla redazione del programma. Storia diversa, ma non troppo, quella della misteriosa ‘sparizione’ della mappa dei siti potenzialmente idonei ad ospitare il deposito per rifiuti radioattivi. La mappa, redatta da Sogin e rivista dall’Ispra, che aveva accolto le indicazioni e valutazioni del ministero dell’Ambiente, è sparita. Entrambi i ritardi però, non pare siano collegati tra loro.
Il lento scivolare verso una nuova procedura d’infrazione era stato già nei mesi passati oggetto di numerosi allarmi. Lo scorso dicembre i membri dell’Osservatorio per la Chiusura del Ciclo Nucleare avevano organizzato un convegno nel quale si sottolineava proprio la gravità del ritardo col quale i Ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo Economico stavano lavorando alla stesura del programma di smaltimento dei rifiuti radioattivi. Il Presidente dell’osservatorio, Stefano Leoni, sottolinea ai microfoni di Ricicla quanto poco chiara sia tuttora la situazione: «Ad oggi non sappiamo se il programma esiste, né se qualcuno ci stia lavorando. Sappiamo però, che l’Europa ci ha già richiamato – spiega Leoni – e che se entro due anni il piano non sarà elaborato e sottoposto alla valutazione dell’Europa, allora si aprirà l’ennesima procedura d’infrazione nel nostro Paese».
L’Osservatorio, pubblicherà a breve le linee guida al programma di smaltimento del radioattivo, una sorta di vademecum che potrebbe tornare utile agli esperti ministeriali verosimilmente al lavoro. «La speranza – aggiunge il presidente dell’Occn – è che possa esserci un confronto e prendere in considerazione tutti gli aspetti coinvolti in un processo importante come quello dello smaltimento di rifiuti tanto pericolosi». In attesa delle linee guida dell’Osservatorio, un’altra domanda tiene banco. Qualora il piano fosse reso pubblico, e di conseguenza anche la mappa dei siti idonei al cantieramento del deposito, come si potrebbe di punto in bianco spiegare alle popolazioni che vivono sui siti potenzialmente idonei che la costruzione di un tale deposito non sarebbe pericolosa?
Leoni spiega: «Il deposito avrebbe un impatto sul territorio molto meno pericoloso di quello di una qualunque centrale già presente in alcune aree del Paese. Secondo alcuni sondaggi, il timore maggiore parrebbe essere il rischio esplosioni. Mi sento di poter rassicurare le persone. I depositi, diversamente dalle centrali – prosegue – non posso scientificamente esplodere». Dunque in attesa che dal Governo vengano resi pubblici i documenti necessari ad evitare infrazioni e reazioni ostative da parte delle popolazioni, sarebbe forse opportuno che si tenesse aggiornato il Paese su come si intende procedere rispetto alla risoluzione di un problema che vede l’Italia parecchio indietro rispetto agli altri paesi europei. Paesi come Francia e Spagna, ad esempio, che hanno sapientemente affrontato la questione insieme alle popolazioni, coinvolgendole attraverso lo strumento di democrazia per eccellenza: l’istituto referendario. In Italia, al momento, le comunità locali restano invece sul chi va là temendo di essere candidate a subire le ipotetiche conseguenze della realizzazione del primo deposito nazionale di rifiuti radioattivi. Rifiuti altamente pericolosi, che solo il tempo – nell’ordine di secoli – rende veramente inerti.