Mentre ancora infuria in seno al governo la polemica politica scatenata dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini sulla necessità di realizzare nuovi inceneritori in Campania, le associazioni di categoria scendono in campo e, sposando almeno in parte le parole del titolare del Viminale, lanciano l’allarme: complice l’insufficiente dotazione impiantistica il sistema italiano di gestione dei rifiuti è alle soglie dell’emergenza. “Sono pochi, dislocati non omogeneamente sul territorio e alcuni poco efficienti, gli impianti per la gestione dei rifiuti nel nostro Paese – dice il vicepresidente di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua energia e ambiente) Filippo Brandolini- la fragilità e il sottodimensionamento del sistema impiantistico per il trattamento dei rifiuti sono un’emergenza nazionale – osserva Brandolini – non si tratta più di eventi circoscritti, locali o regionali, ma di una crisi che riguarda sia i gestori dei rifiuti che il tessuto economico-produttivo”.
Secondo Utilitalia, gli investimenti realizzati tra il 2012 e il 2017 sono pari a 1,4 miliardi di euro e quelli pianificati nel quadriennio 2018-2021 arrivano a 22 euro per abitante all’anno ma ne occorrerebbero di più, almeno 4 miliardi di euro, per dotare il Paese delle infrastrutture necessarie a garantire una gestione ottimale dei rifiuti: 1,1 per la fase della raccolta (raggiungimento 65% di Rd e implementazione della tariffa puntuale), 1 per il trattamento della frazione organica (nuovi impianti), e 1,8 per il recupero di materia ed energia dai rifiuti indifferenziati (nuovi impianti).
“Sarebbe necessario adottare – spiega Brandolini – contestualmente al recepimento del Pacchetto dell’Economia Circolare, una Strategia Nazionale per la gestione dei Rifiuti che individui le azioni e gli strumenti per raggiungerne gli obiettivi; e che consideri, in particolare rispetto al fabbisogno impiantistico, non solo gli urbani ma anche i rifiuti speciali (pericolosi e non) e che in tema di riciclo includa sia gli imballaggi che i materiali”.
La necessità di dotarsi di nuovi impianti di recupero e smaltimento per cogliere al meglio le opportunità rappresentate dal pacchetto di misure sull’economia circolare è stata sottolineate anche da Chicco Testa, presidente di Assoambiente, l’associazione delle imprese che operano nei servizi di igiene ambientale, recupero e smaltimento dei rifiuti e delle bonifiche. “Realizzare l’economia circolare – ha detto – significa aumentare il numero degli impianti di gestione dei rifiuti, non diminuirli e soprattutto valutare concretamente e senza preconcetti le esigenze di gestione includendo tutte le opzioni previste a livello europeo, quindi non solo prevenzione e riciclo, ma anche includere termovalorizzazione per i rifiuti non riciclabili e la discarica per quanto non gestibile in modo diverso.Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei (65% di riciclaggio, 10% discarica e 25% recupero energetico), servono impianti di recupero (di materia e di energia) capaci non solo di sostenere il flusso crescente di rifiuti ma anche di sopportare fasi di crisi dei mercati esteri (vedi blocco delle importazioni di alcuni rifiuti da parte della Cina), ma anche impianti di smaltimento finale, capaci di gestire i rifiuti che non possono essere avviati a recupero e gli scarti generati dal processo di riciclo.”.
Nettamente sottodimensionata, secondo Testa, la dotazione impiantistica italiana. Sarebbero almeno dieci i termovalorizzatori da costruire “da collocare – prosegue il presidente di Assoambiente – soprattutto nel Centro-Sud del Paese, in Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. E anche le discariche presenti sul territorio sono praticamente colme. Su alcuni flussi di rifiuti – aggiunge – siamo all’emergenza: fanghi di depurazione, amianto, rifiuti pericolosi. Esportiamo circa 3 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui 1 milione di rifiuti pericolosi, e circa 0,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani: un fenomeno in crescita, una assurdità ambientale ed economica. Negli ultimi tempi poi i prezzi di conferimento all’estero sono aumentati, ma in mancanza di impianti in Italia (sistema nazionale di impianti e stoccaggi allo stremo) si esporta per necessità e non più “per convenienza”, peraltro verso realtà industriali che in Italia non si riescono nemmeno a realizzare. Per realizzare gli impianti necessari occorre una legislazione stabile, efficace e semplice, tempi di autorizzazione rapidi, sistema di controlli uniforme, moderno e tempestivo. Occorrono operatori industriali capaci di fare investimenti ed innovazione. Un contesto culturale non ostile e una classe politica capace di mediare il conflitto”.