Parlamento e Consiglio Ue vorrebbero impedire l’afflusso dei polimeri riciclati dai paesi terzi, ma la Commissione è contraria all’adozione di misure protezionistiche. Ecco perché Bruxelles non ha siglato l’accordo raggiunto ieri da europarlamento e Stati membri sul nuovo regolamento imballaggi
Altro che messe al bando e obblighi di riutilizzo. Le sorti dei negoziati sul nuovo regolamento imballaggi, arrivati ieri a un punto di svolta con l’intesa provvisoria raggiunta da Consiglio e Parlamento, restano appese al filo di una definizione: quella di “post-consumer plastic waste”, ovvero “rifiuti di plastica post consumo”, sulla quale i negoziatori non sono riusciti a trovare l’accordo a tre per lo sfilarsi della Commissione. È anche per questo se ieri Bruxelles non ha ratificato l’intesa sul regolamento, rimandando la decisione ai prossimi giorni. La questione, solo apparentemente secondaria, è in realtà determinante. Saranno le definizioni, infatti, a chiarire l’oggetto e il perimetro della regolazione, e quella contestata, nello specifico, potrà marcare una differenza sostanziale per l’intero comparto industriale del riciclo della plastica.
Nel testo del regolamento, infatti, il perimetro di ciò che può essere considerato rifiuto in plastica è ampio e generico, al punto da includere anche rifiuti prodotti o trattati in paesi terzi. Di conseguenza, anche il perimetro dei polimeri riciclati viene allargato a quelli prodotti fuori dall’Ue, includendoli di fatto tra quelli utilizzabili per raggiungere i nuovi obblighi di contenuto minimo riciclato. Per impedirlo, non potendo modificare a monte la definizione di “rifiuti di plastica post consumo”, Parlamento e Consiglio hanno quindi concordato una clausola di salvaguardia, che limiterebbe il perimetro dei polimeri riciclati a quelli prodotti in Ue o, in alternativa, in paesi che possano dimostrare di aver raccolto i rifiuti in maniera separata e di averli trattati in impianti che rispondano agli stessi standard ambientali dell’Ue. Cosa che però non ha convinto il Commissario europeo all’ambiente Virginius Sinkevicius, secondo cui si rischia di violare le leggi sul commercio internazionale, precludendo di fatto l’ingresso sul mercato dell’Unione di polimeri riciclati provenienti da paesi terzi. Che poi è esattamente l’effetto che Consiglio e Parlamento puntano a ottenere. Ma perché?
Secondo l’associazione europea dei riciclatori EuRIC, dopo il forte aumento delle quotazioni dei polimeri riciclati sul mercato interno registrato tra 2021 e 2022, anche per effetto della ripartenza post pandemica, nel 2023 i valori sono crollati di oltre il 50% a causa del forte afflusso di polimeri riciclati provenienti da paesi terzi, soprattutto asiatici, venduti a prezzi più competitivi di quelli offerti dai riciclatori europei. E utilizzati, questo il sospetto delle imprese Ue, anche per far fronte ai nuovi obblighi di contenuto minimo nelle bottiglie in PET previsti dalla direttiva SUP. “Queste materie plastiche, importate principalmente dai paesi asiatici – spiegava EuRIC – vengono lavorate in condizioni che non soddisfano gli standard Ue“. Con minori oneri sotto il profilo ambientale e sociale, ma anche con ridotti se non inesistenti requisiti di tracciabilità e con certificazioni poco attendibili sul reale contenuto riciclato. Per questo, oltre a costare meno dei polimeri prodotti in Europa, i materiali d’importazione offrono anche minori garanzie sotto il profilo sanitario.
E visto che il regolamento imballaggi si prepara a introdurre nuovi target di contenuto minimo riciclato per tutto il packaging in plastica (35% al 2030 e del 65% al 2040) nelle scorse settimane i riciclatori avevano chiesto ai negoziatori di alzare ‘un argine’, per evitare di trasformare una misura potenzialmente positiva per il riciclo europeo in una falla dalla quale potrebbero riversarsi in Ue migliaia di tonnellate di polimeri secondari non tracciati né certificati. Ma l’intesa raggiunta da Consiglio e Parlamento, di fatto una misura protezionistica, non piace alla Commissione, che proprio sui rifiuti in plastica già in passato si è dimostrata attenta a non violare le regole del commercio internazionale. Nel corso dei negoziati sulla riforma regolamento sulle spedizioni di rifiuti, ad esempio, era stato proprio Sinkevicius a bocciare la proposta del Parlamento di uno stop tout-court alle esportazioni di scarti in plastica verso i paesi terzi. Tant’è che nella versione definitiva della riforma lo stop è stato limitato ai soli paesi non-OCSE, cui viene tra l’altro riconosciuta la possibilità di riprendere le importazioni dopo cinque anni. Ed è anche in vista della prossima messa al bando che le associazioni EuRIC e Fead chiedono alla Commissione di supportare le misure di bilanciamento proposte da Consiglio e Parlamento, indispensabili per tutelare e rafforzare il mercato europeo del riciclo.
Anche se l’accordo di massima è raggiunto, insomma, nei prossimi giorni le istituzioni Ue dovranno continuare a lavorare sul testo del regolamento imballaggi per trovare un punto di caduta sul perimetro della definizione di rifiuti in plastica. La deadline è quella del 25 aprile, data a partire dalla quale i lavori dell’eurocamera verranno interrotti in vista delle elezioni di inizio giugno. Come riportato da Polimerica.it, se non si troverà un accordo a tre prima del passaggio in Consiglio e in Commissione ambiente del Parlamento, “la Commissione potrebbe mettersi di traverso chiedendo il voto all’unanimità del Consiglio (e non la maggioranza qualificata), risultato non facile da raggiungere, anche perché alcuni paesi membri – Italia in testa – potrebbero votare contro”. La strada verso il via libera definitivo al regolamento sul packaging non è ancora finita.