Ancora troppi rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche sfuggono al sistema ufficiale. Nel 2021 mancavano all’appello 90mila tonnellate di ‘grandi bianchi’. Gli operatori: “La raccolta è inversamente proporzionale al valore dei materiali riciclati”
I canali paralleli drenano rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche al sistema ufficiale, frenando lo sviluppo della filiera italiana del recupero di materia. Una filiera che potrebbe fare da argine alla crisi degli approvvigionamenti e che, nonostante i risultati raggiunti, resta oggi lontana dai target vincolanti fissati dall’Unione europea. “In 15 anni il sistema Raee in Italia ha fatto passi da gigante passando da 65mila tonnellate gestite nel 2002 alle 385mila di quest’anno – dice Giorgio Arienti, direttore generale di Erion, ricordando però che – oggi raccogliamo circa 6,4 kg per abitante, quando dovremmo raccoglierne 11“. Dove vanno a finire i Raee non raccolti? Tanti, soprattutto quelli di piccole dimensioni, finiscono ancora nel cassonetto, e su questo fronte c’è da lavorare potenziando la comunicazione al cittadino e moltiplicando i centri di raccolta. Ma dietro la sparizione degli elettrodomestici a fine vita c’è molto di più.
“In Italia – spiega Arienti – solo il 30% dei Raee arriva dai canali della grande distribuzione. È un dato inferiore rispetto agli altri Paesi europei ed è anche un dato strano, se si pensa che i frigoriferi del raggruppamento R1 e gli altri grandi bianchi del raggruppamento R2, che sono gli elettrodomestici più significativi in termini di peso, hanno essenzialmente un mercato di sostituzione“. Vale a dire che per ogni pezzo venduto il sistema dovrebbe intercettare un pezzo equivalente divenuto rifiuto, raccolto dai rivenditori ai sensi del cosiddetto ‘1 contro 1’. Ma il meccanismo ancora non funziona. “Nel 2021 l’immesso sul mercato di R2 è stato di 275mila tonnellate – dice Arienti – immaginando un tasso di sostituzione dell’80% ci aspetteremmo 220mila tonnellate raccolte, mentre ne sono arrivate 130mila. Mancano all’appello 90mila tonnellate, che equivalgono grosso modo a due milioni di pezzi. Due milioni di lavatrici sparite chissà dove“.
Rifiuti che finiscono nella zona d’ombra dei trattamenti in impianti non ottimali, spesso strutture per il recupero dei rottami, se non nei canali del traffico illecito, soprattutto quando il mercato offre prezzi convenienti per i materiali recuperati. “Assistiamo a un andamento della raccolta che è inversamente proporzionale al valore dei materiali contenuti nei Raee – dice Giuseppe Piardi, presidente di Assoraee – questo vuol dire che ci sono canali paralleli”. Che si arricchiscono strappando ai Raee tutto quello che è facilmente monetizzabile (soprattutto i metalli), mentre per gli impianti tecnologicamente avanzati diventa sempre più difficile raggiungere le economie di scala e ripagare con i proventi della vendita dei materiali i costi del corretto trattamento. Anche perché agli stessi impianti arrivano spesso rifiuti già spogliati delle componenti di maggior valore. “Il problema della ‘cannibalizzazione’ è significativo – dice Piardi – e contribuisce a danneggiare il nostro conto economico”.
“Serve rafforzare gli strumenti di controllo e di intervento – dice Chiara Braga, membro della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti – con verifiche che non siano solo sulla carta. C’è un sistema di controlli che spesso si scontra con l’operatività delle imprese e che si traduce in maniera molto meno efficace in attività di sul campo capaci di porre fine alle condotte illecite”. “Lo Stato deve andare a scovare i Raee che finiscono al di fuori del sistema ufficiale – dice Arienti – ma stupisce scoprire che dopo oltre due anni il comitato interministeriale di vigilanza e controllo, che è l’organismo apicale che dovrebbe sorvegliare l’intera filiera sia dimissionario e non sostituito. Un segnale profondo di disattenzione delle istituzioni“. Disattenzione che si riflette anche nella mancata adozione del decreto ministeriale che dovrebbe definire standard obbligatori per il corretto trattamento negli impianti, atteso ormai da otto anni dagli attori del sistema ufficiale, che nel frattempo hanno scelto di fare da sé siglando un accordo volontario, rinnovato per la seconda volta lo scorso anno.