Contrastare il fenomeno della desertificazione dei suoli riutilizzando scarti e deiezioni da allevamenti aviari: in Emilia-Romagna un progetto co-finanziato dall’Unione europea punta al recupero di una frazione di rifiuto particolarmente difficile da smaltire.
«Dal punto di vista agronomico funziona, come atteso. Quello che dobbiamo andare a vedere nel tempo è l’impatto che ha nel risanamento delle caratteristiche del terreno». Davide Dradi è un agronomo di Astra, agenzia per la sperimentazione tecnologica e la ricerca agroalimentare di Faenza, capofila del progetto Porem, che da due anni è al lavoro per realizzare una nuova soluzione in grado di rigenerare i suoli degradati e contrastare il fenomeno della desertificazione dei terreni con le stime del vecchio continente che parlano di oltre il 45% di suoli a rischio attraverso il recupero e la lavorazione della pollina, cioè deiezioni e scarti da allevamenti aviari, molto spesso prodotti in abbondanza ma particolarmente difficili da smaltire.
«Viene presa la pollina e viene messa a fermentare con degli enzimi di origine vegetale. Una società italiana che si chiama Amecca ha il brevetto di questi enzimi, coltiva queste essenze vegetali, le tratta, le lavora, produce questi panetti che vengono messi nei cumuli di pollina e vengono lasciati a contatto con essa per un tempo di circa 90 giorni. Gli enzimi che si sprigionano da questi panetti permettono e orientano le fermentazioni microbiche in una direzione piuttosto che in un’altra. Il risultato è che l’azoto è molto più stabile quindi non viene dilavato nella falda e non contamina le falde sotterranee. Il fosforo viene concentrato in struvite, quindi molto a lento rilascio e disponibile per le piante in determinate condizioni ma non immediate, permettendo una fertilità residua abbastanza lunga e consentendo alla sostanza organica di rimanere più stabile, più assimilabile da parte della flora batterica che abbiamo selezionato in questo processo», Nicola Minerva, Direttore Astra Innovazione e Sviluppo.
«Quindi, ripristina il carbonio che è il problema principale del degrado a livello europeo – spiega Alessandra Strafella, Responsabile scientifico Enea progetto Porem – e ripristina quelli che sono i nutrienti, quindi l’azoto, il fosforo, ristrutturando il terreno non solo a livello di fertilità ma anche come la sua stessa struttura. Il processo è molto semplice, a basso costo, a basso impatto ambientale e a risparmio energetico. Dà luogo ad un bioattivatore che è differente dalla pollina tal quale, che provoca diverse problematiche anche a livello di emissioni gas serra».
Porem è un progetto dimostrativo da oltre un milione e mezzo di euro nell’ambito del progetto LIFE, finanziato per metà dall’Ue, al quale partecipano anche l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile Enea, l’impresa calabrese Sodano, produttrice di uova e pasta, e altre realtà importanti spagnole e ceche. «Consideriamo che siamo proprio nell’ottica dell’economia circolare. Prendiamo un rifiuto che adesso è un problema e generiamo una risorsa», Nicola Minerva, Direttore Astra Innovazione e Sviluppo. È partito tutto nel 2018 e sono già state fatte le prime prove sui campi pilota di orzo vicino Foggia, di grano in Repubblica Ceca, di un frutteto di mandorle in Spagna e di pomodoro vicino Cesena, dove adesso si stanno analizzando i risultati della seconda produzione testata, cioè quella delle verze, paragonandoli con quelle di parcelle di terreno non concimati e lavorati con prodotti chimici.
«Quello che differenzia la tesi del Porem è l’accelerazione di crescita all’inizio e probabilmente, se potessimo gestire in maniera differente le varie tesi, si potrebbe raccogliere qualche giorno prima. È chiaro che per motivi di sperimentazione dobbiamo raccogliere tutto lo stesso giorno per avere un confronto. Sicuramente, dal mio punto di vista di agronomo, il Porem è qualcosa di assolutamente valido», Davide Dradi, agronomo Astra Innovazione e Sviluppo.
«Di risultati, da un punto di vista di rigenerazione del suolo, è ancora un po’ presto per parlarne. Comunque, il secondo o il terzo anno saranno quelli che ci permetteranno di avere il polso della situazione. Oggi possiamo fare delle riflessioni da un punto di vista qualitativo e quantitativo, cioè le produzioni che abbiamo ottenuto con il Porem, per esempio qui a Cesena, hanno avuto un fabbisogno di azoto meno della metà rispetto a quello che utilizziamo nell’agricoltura tradizionale con delle produzioni quantitative e qualitative a volte superiori, a volte uguali. La stessa cosa abbiamo visto a Bicari sull’orzo, per cui direi che è piuttosto promettente da un punto di vista produttivo. Sulla sua capacità di rigenerare suolo, siamo tutti molto ottimisti ma non abbiamo ancora dei dati per dire che funzioni e in che modo», Nicola Minerva, Direttore Astra Innovazione e Sviluppo.
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