La tassa europea sugli imballaggi in plastica non riciclati è costata all’Italia 744 milioni di euro. L’industria del riciclo è pronta, ma senza investimenti in raccolta e selezione non riusciremo a ridurre il conto né a tenere il passo dei target UE
Dopo ben tre rinvii la ‘plastic tax’ italiana sembrerebbe pronta a entrare in vigore a partire dal prossimo 1 gennaio, ma il combinato disposto tra la crisi energetica in atto e la probabile nascita di un governo di centrodestra (ala politica che non ha mai nascosto la propria insofferenza nei confronti dell’imposta sui manufatti in plastica monouso) obbligano all’utilizzo del condizionale. Se il destino della tassa sulla plastica italiana continua a essere avvolto dall’incertezza, lo stesso non si può dire della cosiddetta ‘plastic tax europea’, che è operativa dal 1 gennaio del 2021 e che al nostro Paese è già costata circa 744 milioni di euro. Il terzo importo, dopo Germania (1,6 milioni) e Francia (1,5).
Non si tratta di una vera e propria tassa ma di un contributo (quello che in UE prende il nome di ‘risorsa propria’), nato per finanziare il programma Next Generation EU e, contemporaneamente, spingere gli Stati membri ad allinearsi ai parametri della strategia europea sulla plastica. L’importo da versare nelle casse di Bruxelles, pubblicato a fine anno nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, viene infatti calcolato moltiplicando 0,8 euro per ogni kg di imballaggi in plastica non avviato a riciclo e sottraendo una cifra forfettaria, che per l’Italia ammonta a poco più di 184 milioni. Per il 2021 l’Europa ha calcolato per il nostro Paese in un milione 116mila le tonnellate di rifiuti da imballaggi plastici non riciclati. Si tratta di una stima concordata tra Bruxelles e Roma, visto che i dati esatti vengono comunicati a Eurostat con due anni di scarto e che solo nel 2023 la Commissione ricalcolerà l’importo del contributo sulla base dei numeri ufficiali del 2021.
Secondo il consorzio Corepla, in realtà, le quantità di imballaggi in plastica non riciclati sarebbero leggermente più basse. A fronte di un immesso a consumo di un milione 861mila tonnellate, nel proprio rapporto sulla gestione nel 2021 il consorzio calcola in un milione 21mila le tonnellate riciclate, quindi in 840mila circa quelle finite a recupero energetico o smaltimento. Di queste, circa 550mila sono rappresentate dal cosiddetto plasmix, una miscela eterogenea fatta di plastiche a minor valore aggiunto che, pur venendo raccolte in maniera differenziata, per motivi di carattere economico e tecnologico stentano a trovare collocazione sul mercato del riciclo e vengono dirottate verso inceneritori, cementifici e, in misura minore, discariche. Poi c’è tutta la plastica da imballaggio che ancora sfugge ai sistemi di raccolta separata e finisce direttamente a smaltimento o recupero energetico. Impedendo alle imprese del riciclo di raggiungere le economie di scala necessarie a ripagare i cospicui investimenti effettuati negli ultimi anni, pari a 1,9 miliardi a livello europeo nel solo 2021. E tenendo l’Italia lontana dai sempre più ambiziosi target UE.
Con il suo 48%, il nostro Paese non è troppo lontano dal target obbligatorio del 50% di riciclo degli imballaggi in plastica da raggiungere entro il 2025. Questo però solo in apparenza, visto che da quest’anno i tassi andranno calcolati utilizzando il nuovo, e più severo, metodo europeo unico. Che secondo alcune stime potrebbe farci perdere fino a dieci punti percentuali. Questo significa che per riciclare di più bisognerà raccogliere di più e meglio. Anche perché al target generico sugli imballaggi si associano altri target specifici, come quello introdotto dalla cosiddetta direttiva SUP sulla plastica monouso, che prevede l’obbligo del 77% di raccolta differenziata dei contenitori per liquidi entro il 2025, ma soprattutto l’impiego, entro lo stesso anno, di almeno il 25% di PET riciclato per la produzione di nuove bottiglie (il cosiddetto ‘bottle to bottle’), passando al 30% al 2030. Cosa che, stando a una ricerca realizzata da Plastic Consult per Assorimap, in Italia significherà raccogliere e avviare a riciclo non meno di altre 120mila tonnellate l’anno di bottiglie.
Per centrare i nuovi obiettivi, e tagliare l’importo del contributo da versare a Bruxelles, secondo i riciclatori serviranno maggiori investimenti in tecnologie di selezione e avvio a riciclo, ma anche misure capaci di trainare la domanda di mercato di materiali riciclati. Soprattutto per i polimeri derivanti dal riciclo delle frazioni minori di imballaggio come le plastiche miste o il packaging in polistirene, due flussi considerati da sempre le ‘cenerentole’ del riciclo e che invece nel 2021 hanno dato segnali incoraggianti, facendo registrare secondo Plastic Consult rispettivamente un +20% e addirittura un +70% di polimeri riciclati in output, trainati da una domanda estremamente tonica nel settore dell’edilizia e delle costruzioni. Numeri che confermano come, sul piano tecnologico, l’industria del riciclo sia pronta a tenere il passo dei target europei portando a nuova vita, oltre ai polimeri tradizionali come il PET e l’HDPE, anche le frazioni più complicate. Ora tocca ai sistemi di raccolta e selezione salvare dalla discarica e dall’inceneritore. E avviarle agli impianti di riciclo decurtandole dal conto di 0,8 euro al kg da versare ogni anno nelle casse di Bruxelles.