A Milano il riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione rischia il blocco. Non è (ancora) colpa dell’end of waste, ma di un mercato che non decolla, mentre gli impianti pieni fino all’orlo rallentano o fermano le lavorazioni
Dopo trent’anni Milano rischia di piombare in una nuova emergenza rifiuti. Non parliamo di rifiuti urbani, però, ma di rifiuti da costruzione e demolizione. Il che, forse, è addirittura peggio, visto che nell’area metropolitana se ne generano ogni anno tra i 4 e i 5 milioni di tonnellate (gli urbani sono ‘solo’ 1,5 milioni) e che la Lombardia, da sola, con i suoi 15 milioni di tonnellate pesa per un terzo circa sull’intera produzione nazionale. Quei 15 milioni oggi sono avviati quasi al 100% a recupero di materia. Il problema è che gli impianti di riciclo al servizio della Città Metropolitana, che trasformano i rifiuti da costruzione e demolizione in nuovi materiali per l’edilizia, sono pieni fino all’orlo. A una verifica condotta dall’istituto di management della Scuola Sant’Anna di Pisa e Assimpredil Ance, il 60% circa degli impianti disponibili sul territorio è risultato al limite della capacità autorizzata. Molti gestori stanno rallentando i conferimenti in ingresso e qualcuno ha già chiuso i battenti per non rischiare sanzioni. “Ci troviamo con i camion che, soprattutto per i cantieri nella zona sud-ovest dell’area metropolitana, devono cercare giorno per giorno un impianto nel quale scaricare i rifiuti” racconta Paolo Riva, vicepresidente Assimpredil Ance.
Come nella più classica delle emergenze rifiuti, le ditte dell’edilizia e delle infrastrutture sono quindi costrette a cercare spazio negli impianti in altre province (ma anche Lodi, ad esempio, ha lo stesso problema). Questo fa venire meno il principio cardine della corretta gestione dei rifiuti, quello della prossimità, portando all’aumento dei costi economici (per il trasporto) e ambientali. Non proprio il massimo, per un settore che già deve fare i conti con inflazione e caro energia. Senza dimenticare che più lungo è il trasporto e più CO2 si rilascia in atmosfera, in barba agli obiettivi UE di decarbonizzazione. “I nostri camion oggi fanno fino a 40-50 km per andare a scaricare in un impianto. Non è sostenibile” dice Riva. Ma il peggio deve ancora venire, visto che all’orizzonte c’è l’appuntamento con i cantieri del PNRR e delle Olimpiadi, e che in entrambi i casi i lavori dovranno terminare entro il 2026. Senza dimenticare che nel frattempo Milano continua a cambiare pelle secondo l’ambizioso piano di rigenerazione urbana lanciato dal Comune. Nuovi cantieri, e nuovi rifiuti da gestire. Se non si sbloccano gli impianti di riciclo, il prezzo economico e ambientale rischia di essere altissimo.
La risposta, o almeno una delle risposte, deve venire dal mercato. Gli impianti di riciclo sono saturi di rifiuti perché gli aggregati riciclati prodotti dal loro trattamento fanno sempre più fatica a trovare collocazione. I piazzali si riempiono e i conferimenti rallentano, fino a fermarsi. Cos’è che blocca il mercato? “Sicuramente l’aspetto normativo ha un peso rilevante – spiega Pietro Merlini di Assimpredil Ance – bisogna sciogliere il nodo dei sottoprodotti, oltre a quello dell’end of waste, ma c’è anche da convincere gli operatori della filiera ‘a fare filiera’, cioè a condividere il comune obiettivo dell’economia circolare”. A frenare la domanda di aggregati riciclati è infatti anche la diffidenza delle imprese delle costruzioni rispetto alla qualità, e soprattutto alle caratteristiche prestazionali, degli aggregati riciclati. Se nessuno ne compra, il ciclo si blocca e gli impianti di riciclo, piuttosto che investire in qualità del trattamento, vanno avanti come possono fino poi a saturarsi e a chiudere i battenti. A stapparli potrebbe pensarci, almeno in parte, la pubblica amministrazione, usando la propria domanda come una leva. “Città Metropolitana, assieme agli altri attori pubblici, può essere un grande acquirente, orientando il mercato” spiega Emilio De Vita, direttore area ambiente di Città Metropolitana di Milano. ableton live suite crack at crackoogle.com office 365 crack at crackivation.com
Una delle strade è quella di garantire l’applicazione alle gare pubbliche dei criteri ambientali minimi, a partire dai CAM sull’edilizia rilasciati quest’estate dal Ministero della Transizione Ecologica, che prevedono tra l’altro anche il rispetto di quote minime di materiali riciclati nelle opere pubbliche. “Cosa che oggi non succede anche per la paura della stazione appaltante di incappare in materiali che non rispondono ai parametri di legge e che possono condizionare la realizzazione dell’opera” spiega Elisabetta Confalonieri di Regione Lombardia. Per trasformare la domanda della pubblica amministrazione in una leva capace di mettere sui binari della circolarità il mondo dell’edilizia servono però interventi che vadano al di là della sola dimensione ambientale, per abbracciare anche quella economica e quella più strettamente legata alla pianificazione delle infrastrutture. Lavorando, ad esempio, a una revisione organica dello strumento dei capitolati tecnici di gara che possa premiare applicazioni di qualità per gli aggregati riciclati, come l’utilizzo nei calcestruzzi. “Serve un intervento congiunto con il Ministero delle Infrastrutture, ma anche dell’Economia e Finanze e dello Sviluppo Economico, anche per valutare eventuali meccanismi di incentivazione – spiega Laura D’Aprile, capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del Ministero della Transizione Ecologica – nell’ambito dell’osservatorio per la strategia nazionale sull’economia circolare sono rappresentati tutti i dicasteri e le Regioni. L’idea è quella di concordare una programmazione che possa essere discussa in quella sede da tutti i portatori d’interesse”.
Nel frattempo si guarda con apprensione al nuovo decreto end of waste sui rifiuti da costruzione e demolizione, pubblicato la scorsa settimana in Gazzetta Ufficiale e criticato dal mondo dell’edilizia per la natura eccessivamente restrittiva dei parametri di contaminazione da ricercare negli aggregati riciclati. “Standard che non sono perseguibili nella realtà con le tecnologie esistenti” dice Riva, e che secondo gli operatori potrebbero finire col bloccare del tutto una filiera già ingolfata. Uno scenario dalle tinte fosche nel quale le dichiarazioni del capo dipartimento per lo sviluppo sostenibile del MiTE aprono uno spiraglio di luce. “Probabilmente l’approccio tabellare, netto, sui valori limite dev’essere mitigato anche dalle condizioni di utilizzo, cioè da un ricorso più ampio all’analisi di rischio. Perché – ha spiegato Laura D’Aprile – un conto è se vado a mettere questi materiali in un giardino pubblico, un conto se vado a metterli sul sottofondo di un autostrada dove ci sono solo veicoli che passano”. Parole che sembrano aprire a una possibile modulazione dei parametri sulla base degli usi cui gli aggregati riciclati sono destinati, proprio come chiesto dagli operatori del riciclo e dall’intera filiera dell’edilizia. Il prossimo 4 novembre il decreto entrerà in vigore. Per passare dalle parole ai fatti, a quel punto, resteranno i 180 giorni del periodo transitorio.