Una nota dell’ISPI sottolinea i vantaggi ambientali, economici e geopolitici del recupero energetico dei rifiuti. A Roma, si legge, occorrerà realizzare un inceneritore se si vuole ridurre lo smaltimento in discarica in linea con gli obiettivi dell’UE
Minori importazioni di combustibili fossili, maggiore sicurezza energetica, taglio delle emissioni in atmosfera rispetto ai metanodotti transcontinentali. È insieme economico, geopolitico e ambientale il beneficio garantito dalla riduzione dei conferimenti di rifiuti in discarica a vantaggio del recupero energetico in impianti di incenerimento, secondo una nota dell’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale. Che parte da una precisazione: la Commissione Europea non ha mai definito obsolete le tecnologie di termovalorizzazione, né tanto meno le considera in contrasto con la raccolta differenziata e il riciclo, ma anzi in una comunicazione del 2015 ha sottolineato come queste possano “svolgere un ruolo chiave nella transizione verso un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’UE sia utilizzata come principio guida”. A ricordarlo non è il position paper di una lobby di settore, né tanto meno una pagina social di supporto al sindaco di Roma Roberto Gualtieri, bensì Massimo Lombardini, che prima di essere ricercatore per l’ISPI è stato per venticinque anni, dal 1994 al 2019, componente della direzione generale energia della Commissione UE. Insomma, non esattamente uno che parla per sentito dire.
“Coloro che si oppongono agli impianti di termovalorizzazione – spiega Lombardini – affermano che l’obiettivo ultimo dell’economia circolare dovrebbe essere il completo riutilizzo o riciclaggio dei nostri rifiuti. Tuttavia, anche le città più virtuose generano ancora circa un 30% di rifiuti residui che in un modo o nell’altro devono essere trattati. In altre parole – chiarisce – mentre la transizione verso un’economia circolare richiede di massimizzare le opportunità di riutilizzo e riciclaggio, è probabile che rimanga una certa quantità di rifiuti che non possono essere riutilizzati o riciclati“. Piuttosto che smaltirli in discarica, meglio trasformarli in elettricità e calore. Tant’è, si legge nella nota, che l’obiettivo di un 10% massimo di rifiuti smaltiti in discarica fissato dall’UE al 2035 risulta già raggiunto in Paesi come Germania, Paesi Bassi, Svezia e Austria, dove stando ai dati Eurostat ogni anno il 60% in media dei rifiuti è avviato a riciclo, mentre quasi tutto il resto finisce a recupero energetico.
“L’affermazione che il riciclaggio e i termovalorizzatori siano in concorrenza – scrive Lombardini – è quindi fondamentalmente viziata. La vera competizione è tra lo smaltimento in discarica e la produzione di energia dai rifiuti”. Come a Roma, dove oggi solo il 40% dei rifiuti prodotti oggi viene raccolto in maniera differenziata e avviato a riciclo. E se da un lato l’imperativo resta quello di allineare il tasso di riciclo agli standard europei raggiunti dalle altre città italiane, dall’altro lato, spiega il ricercatore di ISPI, “dobbiamo anche accettare che, anche se si ottimizza l’efficienza, circa il 30% degli 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti annualmente nel comune dovrà ancora essere trattato“. Per evitare di smaltirlo in discarica e per ottemperare all’obbligo europeo di limitare lo smaltimento al 10% entro il 2035, scrive Lombardini, “sarà necessario realizzare un impianto di incenerimento per l’energia”. L’urgenza di dotarsi di un termovalorizzatore, insomma, non è in discussione. Quello su cui c’è da fare attenzione, semmai, è il dimensionamento, avverte l’autore. “La capacità di questo impianto deve essere attentamente calcolata per evitare possibili sovraccapacità quando il livello di riciclaggio a Roma raggiungerà lo standard di altre città e, di conseguenza, la quantità di rifiuti residui si ridurrà”.
Nel contesto di una crisi climatica sempre più intrecciata con quella energetica, chiarisce Lombardini, il recupero energetico vince non solo sul piano ambientale, con la riduzione dei conferimenti in discarica e delle relative emissioni, ma anche su quello geopolitico ed economico. Non c’è bisogno di guardare lontano tirando in ballo Copenhagen e il suo stracitato inceneritore, spiega Lombardini, visto che di esempi eloquenti ne abbiamo diversi sotto casa. Come a Torino, dove l’inceneritore produce energia elettrica per 200mila famiglie con un risparmio stimato in 70mila tonnellate equivalenti di petrolio per un valore di circa 50 milioni di euro. “Il recente forte aumento dei prezzi dell’energia dovrebbe dare ulteriore impulso alla costruzione di impianti di termovalorizzazione” scrive il ricercatore, ricordando come ai benefici in termini di sostituzione dei combustibili fossili e di maggiore sicurezza dell’approvvigionamento si associno anche quelli legati alle minori emissioni rispetto al gas naturale d’importazione. Quello dalla Russia “viaggia per migliaia di chilometri dalla Siberia al nostro confine – scrive Lombardini – generando perdite stimate fino al 10% del totale trasportato”. Con una “terribile impronta di carbonio”, dal momento che una sola tonnellata di metano immessa in atmosfera ha lo stesso potenziale di riscaldamento globale di venti tonnellate di CO2.