La capacità del mercato dei rifiuti urbani di tenere in equilibrio domanda e offerta “non può essere misurata solo a livello nazionale”, dice Luca Mariotto di UTILITALIA in merito alle sentenze del Consiglio di Stato che hanno bocciato il sistema degli ‘impianti minimi’ di ARERA. E che adesso “lasciano un vuoto che non aiuterà gli investimenti”, spiega
Le sentenze del Consiglio di Stato che hanno bocciato il sistema ARERA delle tariffe al cancello per gli ‘impianti minimi’ di gestione dei rifiuti hanno chiarito che non è prerogativa delle regioni o del regolatore limitare la libera concorrenza per far fronte alle carenze di trattamento sul territorio. Cosa che, spiega Luca Mariotto di UTILITALIA, “rischia di deresponsabilizzare gli amministratori territoriali, lasciando che i rifiuti continuino a percorrere centinaia di chilometri su e giù per la penisola”. L’adeguatezza del mercato, dice a Ricicla.tv, “non può essere misurata solo a livello nazionale ma anche a livello regionale o di macroarea. Come prevede il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti“.
Qual è il valore delle sentenze del Consiglio di Stato sul sistema degli impianti minimi?
“Non credo sia il caso di entrare nel merito, commentandole da un punto di vista giuridico. Quello che ritengo di dover evidenziare è invece che i problemi che erano alla base del contenzioso sono rimasti irrisolti”.
Di quali problemi si tratta?
“Come UTILITALIA abbiamo affrontato più volte il tema dei fabbisogni nazionali di trattamento, mettendo in evidenza che molte aree del paese sono in ritardo sugli obiettivi del pacchetto economia circolare. In particolare con la riduzione dello smaltimento in discarica al 10% entro il 2035. E anche per il trattamento dei rifiuti organici c’è da colmare un ampio fabbisogno impiantistico, soprattutto in vaste aree del centro-sud. Da questo punto di vista avevamo accolto con favore il Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti, che per determinati flussi strategici (incluso l’organico) indicava la necessità dei territori di raggiungere l’autosufficienza. È chiaro però che questo non si coordinava con il principio della libera circolazione del rifiuto urbano avviato a recupero. Un principio garantito dalla normativa, ma che crediamo debba tuttavia coordinarsi con i principi di autosufficienza e prossimità”.
Come?
“Crediamo serva trovare un punto di equilibrio tra i due principi. Obbligare i gestori integrati a fare ricorso al mercato non può costituire un elemento di freno allo sviluppo dell’autosufficienza regionale. Si correrebbe infatti il rischio, che non possiamo permetterci, di deresponsabilizzare gli amministratori territoriali e di lasciare che i rifiuti continuino a percorrere centinaia di chilometri su e giù per l’Italia in cerca dell’impianto più conveniente. Non può essere questa l’unica soluzione al problema. Dobbiamo trovare un compromesso. Gli amministratori devono assumersi la responsabilità di fare le scelte politiche necessarie a colmare i deficit impiantistici sul proprio territorio. Nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia economica, ovviamente”.
Che scenari si aprono per gli operatori dopo le sentenze?
“Serve un quadro regolatorio stabile. Queste sentenze, che di fatto annullano una parte importante dell’azione dell’autorità di regolazione, lasciano un vuoto che di sicuro non aiuterà a spingere gli investimenti, e anzi rischia di frenare anche quelli già programmati. Compresi i fondi PNRR. Ripeto: rispetto all’ampliamento del mercato deve avere priorità la copertura dei fabbisogni impiantistici, da colmare a livello regionale o di macroarea come previsto dal Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti. L’adeguatezza della dimensione del mercato, quindi la capacità di raggiungere l’equilibrio tra domanda e offerta di trattamento, non può essere misurata solo a livello nazionale. Dev’essere a livello regionale o di macroarea che dobbiamo valutare l’effettiva copertura dei fabbisogni impiantistici”.