«La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico – spiega l’economista Alessandro Marangoni, CEO di Althesys – questi, tuttavia, sono una risorsa che, in una logica di economia circolare, può essere recuperata, fornendo nutrienti all’agricoltura o producendo energia»
Promuovere l’integrazione tra il comparto idrico, quello dei rifiuti e il settore agricolo nel rispetto dei principi dell’economia circolare. Come? Valorizzando la ricchezza contenuta nel prodotto necessario dei nostri processi depurativi: i fanghi. Questo l’obiettivo della proposta di strategia nazionale al 2030 elaborata dalla società di consulenza Althesys, per trasformare la gestione dei fanghi “da costo a opportunità”, scoraggiando lo smaltimento in discarica e recuperando e riutilizzando in agricoltura sostanze preziose, talvolta addirittura rare: dai nutrienti organici a elementi fertilizzanti come fosforo, azoto e potassio.
«La gestione dei fanghi di depurazione è centrale per la chiusura dell’intero ciclo idrico – spiega l’economista Alessandro Marangoni, CEO di Althesys – poiché più a fondo si pulisce l’acqua proveniente dalle fognature e più fanghi restano nel depuratore. Questi, tuttavia, sono una risorsa che, in una logica di economia circolare, può essere recuperata, fornendo nutrienti all’agricoltura o producendo energia».
Recupero che fa rima con risparmio visto che, spiega Althesys, se smaltire in discarica una tonnellata di fanghi può costare anche più di 200 euro, il trattamento finalizzato all’utilizzo agricolo costa invece tra gli 80 e i 100 euro, meno della metà. E se nel 2018 risultano prodotti 3,1 milioni di tonnellate di fanghi, nel prossimo futuro il miglioramento della qualità della depurazione, legato anche alla necessità di chiudere le infrazioni europee attualmente aperte a carico dell’Italia, porterà il totale a 4 milioni, per un costo di gestione compreso tra i 400 e i 520 milioni di euro. Maggiore sarà il ricorso al recupero, dice Althesys, minori saranno i costi a carico della collettività.
Che recuperare i fanghi faccia bene all’ambiente, e anche alle tasche, in Europa lo sanno benissimo, tanto che la media di utilizzo agricolo dei fanghi sul totale prodotto è del 45%, con punte di eccellenza in Portogallo, Irlanda e Regno Unito, tutti sopra l’80%. In Olanda e Svizzera invece la scelta di gestione prevalente è quella dell’incenerimento, quasi al 100%, finalizzata principalmente al recupero di fosforo. Sostanza fondamentale per la produzione di fertilizzanti ma che, è bene ricordarlo, all’attuale tasso di utilizzo è destinata ad esaurirsi nel giro di 50-100 anni mentre i fanghi da depurazione, come sottolineato anche dalla Commissione europea, “potrebbero potenzialmente coprire il 20-30% del fabbisogno dei concimi fosfatici impiegati nell’Ue”. Una maleodorante miniera di sostanze preziose.
Peccato che in Italia nel 2017 ancora il 22% dei fanghi generati, pari a circa 700mila tonnellate, sia finito in discarica, mentre lo spandimento in agricoltura pesa per il 25%, il compostaggio per il 42% e l’incenerimento solo per il 6%. Un ritardo quello italiano figlio di un quadro normativo vecchio ormai di 30 anni – il decreto legislativo di riferimento è il 99/1992 – sul quale si è abbattuta di recente anche la scure della giustizia amministrativa, con una controversa sentenza del Consiglio di Stato che nel 2017 aveva praticamente reso impossibile lo spandimento su suolo agricolo, determinando criticità negli impianti di depurazione, saturi di fanghi stoccati, e un aumento fino al 100% dei costi. Emergenza superata solo grazie all’introduzione di una misura ad hoc nel cosiddetto “decreto Genova”, entrato in vigore nel settembre 2018 non senza polemiche. «Bisogna evitare lo smaltimento in discarica – spiega Marangoni – e valorizzare le sinergie con gli altri settori, agricoltura ed energia, tracciando un piano a medio-lungo termine di gestione nazionale condivisa che, in un quadro normativo chiaro, consideri le diverse opzioni tecnologiche»
Ecco perché spiega Althesys, serve una strategia nazionale con orizzonte al 2030, che partendo da una revisione del decreto legislativo 99/1992 tale da restituire certezze agli operatori, punti alla creazione di una filiera integrata tra idrico, waste management e settore agricolo, basata sul recupero controllato e in sicurezza di sostanza organica e fertilizzanti, promuovendo il miglioramento della qualità del trattamento negli impianti di depurazione e l’adozione di sistemi di gestione flessibili, che allo spandimento affianchino anche la produzione di compost e di gessi di defecazione, con un approccio “non aprioristicamente negativo” rispetto alla termovalorizzazione per il recupero del fosforo, anzi agevolando il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione di impianti di combustione on-site, da realizzare cioè all’interno del perimetro dei depuratori.
Il tutto, scrive Althesys, “inquadrato e armonizzato in un disegno organico nazionale” che debba “garantire un’adeguata autosufficienza a livello nazionale e per opportune aree territoriali, permettendo di chiudere il ciclo idrico integrato in modo ambientalmente ed economicamente sostenibile”.