Chiudere in Italia il ciclo del recupero dei Raee è l’obiettivo del progetto Portent di Enea, che punta a tecnologie a basso impatto ambientale per l’estrazione dei metalli preziosi contenuti nelle schede elettroniche dei cellulari dismessi. Fontana: “Vogliamo offrire una tecnologia che possa essere trasferita all’industria per valorizzare il telefono a fine vita“
Ben 276 grammi d’oro, 345 grammi di argento, 132 kg di rame: ogni tonnellata di schede elettroniche da cellulari dismessi è una vera e propria miniera di risorse preziose. L’Italia, però, non sembra essere così brava a recuperale, visto che nella maggior parte dei casi finiscono per arricchire i circuiti di economia circolare dei Paesi del Nord Europa. Nel solo 2019, secondo l’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti speciali, abbiamo esportato oltre 51mila tonnellate di componenti come schede e processori (ma anche hard disk esterni e relais, altrettanto ricchi di risorse recuperabili), vanificando così la possibilità di attingere a vere e proprie ‘urban mine’. Ed è proprio dalla mancata chiusura del ciclo in Italia che nasce Portent, il progetto coordinato da Enea e cofinanziato dalla Regione Lazio con circa 140 mila euro. “Lo scopo è quello di colmare il gap della filiera del recupero dei Raee, perché attualmente in Italia i telefoni dismessi vengono raccolti (laddove la raccolta funzioni) e poi spediti all’estero. Con questo progetto vogliamo chiudere il ciclo sul territorio nazionale per evitare lo spreco di questa miniera. È risaputo che in Italia non siamo dotati di minerali contenenti materiali preziosi” spiega Danilo Fontana di Enea, responsabile del progetto Portent.
Stando ai dati del Rapporto Annuale Raee Italia, il 2020 ha fatto registrare una significativa crescita della raccolta di questa tipologia di rifiuti, con un aumento del 7,68% rispetto al 2019, pari cioè a oltre 78 mila tonnellate a livello nazionale. Nella sola Regione Lazio, invece, la quota è stata di circa 6 mila tonnellate con una significativa crescita rispetto alle 2,4 mila tonnellate dell’anno precedente. Tra questi rifiuti, i telefoni cellulari sono sicuramente gli apparecchi elettronici di maggiore interesse per i materiali preziosi che contengono. “Focus del progetto sarà la scheda elettronica, la parte più ricca del telefono perché contiene i metalli nobili quali argento, oro, palladio” aggiunge Fontana.
Al centro del progetto l’idrometallurgia, come tecnica sostenibile di estrazione dei metalli. “La scheda elettronica del telefono sarà messa a contatto con delle soluzioni contenenti prevalentemente acidi minerari che scioglieranno selettivamente i metalli. La corrente liquida ottenuta verrà poi sottoposta a ulteriori trattamenti per il recupero dei metalli in essa contenuti. Questa tecnica è un’alternativa alla pirometallurgia, che generalmente viene utilizzata per l’estrazione dei metalli mediante forni a elevate temperature, con tutte le problematiche ad esse collegate, fra tutte le emissioni in atmosfera”. Lavorando a temperatura ambiente e con ridotte emissioni, secondo Enea l’idrometallurgia rappresenta una tecnologia di facile replicabilità anche in contesti industriali. “L’obiettivo è quello di offrire una tecnologia che possa essere trasferita all’industria per valorizzare il telefono a fine vita. Il processo pirometallurgico è più complesso da gestire e richiede grandi quantità di materiali da trattare. Le tecnologie idrometallurgiche, invece, sono più flessibili e lavorano su quantità minori di materiali, quindi più facili da gestire in termini impiantistici e logistici” chiude Danilo Fontana. Nel prossimo futuro il trasferimento dalla dimensione sperimentale a quella industriale potrebbe giovare anche dei fondi messi a disposizione del settore dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che destina 150 milioni di euro proprio ai progetti per il recupero avanzato di materiali critici dai Raee.