Inondazioni, siccità, tsunami, erosione delle coste: secondo una ricerca condotta dall’Università di Bologna gli impatti della crisi climatica si stanno aggravando, rendendo la vita e i mezzi di sussistenza di molte popolazioni sempre più insostenibili. Romanelli: “Oltre 20 milioni di persone sfollate nei propri paesi per disastri naturali”
“Nel 2050 saranno almeno 216 milioni le persone che si sposteranno a causa del riscaldamento globale, secondo la Banca Mondiale”. È con queste parole che Margherita Romanelli, coordinatrice dei Programmi europei di WeWorld, anticipa i risultati per nulla rassicuranti di una ricerca sulla mobilità climatica in Senegal, Guatemala, Cambogia e Kenya, condotta dall’Università di Bologna nell’ambito della campagna di comunicazione europea #ClimateOfChange, per sviluppare maggiore consapevolezza dei giovani cittadini sul nesso tra cambiamento climatico e migrazioni. Stando a quanto emerso dallo studio, la crisi climatica è strettamente collegata a movimenti migratori e gli impatti del climate change si stanno aggravando, rendendo la vita e i mezzi di sussistenza di molte popolazioni sempre più insostenibili.
La ricerca ‘Oltre il panico? Esplorare le mobilità climatiche in Senegal, Guatemala, Cambogia e Kenya’, che è stata realizzata in collaborazione con organizzazioni partner sul campo, nell’impossibilità di visitare i paesi oggetto dei casi di studio a causa della pandemia, intende sottolineare come la crisi climatica sia un fenomeno poderoso della vita quotidiana dei partecipanti nei quattro Paesi analizzati. Generata dall’azione dell’uomo, l’emergenza climatica si intreccia con fattori politici, economici e culturali che ne peggiorano l’impatto sulla vita di ogni giorno. Il cambiamento climatico va così inteso come un moltiplicatore di vulnerabilità preesistenti, come povertà, mancanza di risorse, che interagiscono e si influenzano a vicenda.
“I cambiamenti climatici – dichiara Margherita Romanelli, coordinatrice dei Programmi europei di WeWorld – colpiscono tutto il mondo ma non colpiscono tutti allo stesso modo e la ricerca dell’Università di Bologna lo conferma. Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale vanno di pari passo. Eventi meteo estremi, distruzione degli ecosistemi, innalzamento delle temperature impattano più duramente – perché aumentano le vulnerabilità esistenti – e con ripercussioni più pesanti sui paesi a basso reddito, nonostante non siano loro i maggiori responsabili delle emissioni di gas serra. Le persone cercano di adattarsi a un ambiente e un clima che riducono le già povere opportunità economiche e peggiorano le loro precarie condizioni di vita. Sono però sempre più incentivate a muoversi per cercare un ambiente più favorevole, nella maggior parte dei casi in regioni o paesi limitrofi. Si parla di oltre 20 milioni di persone sfollate nei propri paesi per disastri naturali”.
Inondazioni, siccità, tsunami, erosione delle coste: l’impatto negativo sul clima delle attività umane deriva dalla gestione inadeguata o dall’uso eccessivo delle risorse naturali che porta alla deforestazione, come i fenomeni di disboscamento illegale in Cambogia e Guatemala, alla desertificazione in Senegal e Kenya e alla distruzione degli ecosistemi, come quello legato alle foreste di mangrovie vicino alla costa senegalese. La pesca in Senegal è devastata dalla crisi climatica, ma anche dalla pessima gestione dei rifiuti, da cui dipendono inquinamento e ocean grabbing, vale a dire lo sfruttamento indiscriminato dell’oceano e delle sue risorse. Le inondazioni in Cambogia sono causate sia da piogge irregolari, sia da una crescente intensità, ma anche da infrastrutture scadenti incapaci di rispondere alle condizioni avverse che il cambiamento climatico genera e da progetti di sbarramento a valle del fiume Mekong.
“Occorre un forte e deciso impegno e scelte coraggiose dei singoli Stati e della comunità internazionale – continua Margherita Romanelli – per ridurre le cause del cambiamento climatico e affrontarne gli effetti sugli individui, partendo da un approccio che garantisca per tutti, in particolare per le persone più vulnerabili come i migranti, il rispetto dei diritti umani. La migrazione se ben governata può evitare crisi umanitarie e conflitti, ma ci vuole una gestione consapevole e rispettosa. Il numero di rifugiati continuerà a crescere di pari passo con l’aumento delle ripercussioni climatiche. Dunque, l’urgenza è chiedere ai governi di agire per dare una tutela legale a queste persone e aumentare la consapevolezza delle ripercussioni attuali e future del cambiamento climatico sulle persone”.