Una fase transitoria. È così che viene definito a più riprese il periodo di riferimento 2016-2020 entro il quale la Giunta De Luca si propone di mettere a regime il ciclo dei rifiuti regionale rendendo autonoma la Campania. È tutto messo nero su bianco nella delibera n. 419 del 27 luglio scorso pubblicata sul bollettino ufficiale della Regione il giorno successivo. Per ora si tratta soltanto di una proposta, ma nei prossimi mesi il passaggio attraverso consultazione pubblica prima e, ovviamente, il voto del Consiglio Regionale poi, potrebbe farne l’embrione del nuovo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti. Al netto degli eventuali emendamenti, dunque, la Campania si prepara ad adottare un aggiornamento di quel piano datato 2013 e firmato dall’ex governatore Stefano Caldoro che era stato ritenuto insufficiente per evitare la maxisanzione europea da 200mila euro al giorno scattata lo scorso luglio per la procedura d’infrazione aperta da Bruxelles proprio per i ritardi del ciclo oltre che per la perdurante emergenza ecoballe. Emergenza che come testimoniato dagli aggiornamenti al piano straordinario di interventi pubblicati nello stesso Burc del 28 luglio verrà attaccata con l’obiettivo di essere risolta definitivamente entro la fine del 2019. È con l’adozione di questi due piani e con il rispetto dei relativi cronoprogrammi che, presumibilmente, il presidente Vincenzo De Luca punta a presentarsi a Bruxelles per ricontrattare se non addirittura sospendere le sanzioni comunitarie e dimostrare a Palazzo Chigi di aver ben riposto i propri investimenti economici e mediatici.
La sfida della gestione rifiuti urbani poggia le sue basi su un mantra: no a nuovi termovalorizzatori, con buona pace della programmazione dello Sblocca Italia che prevederebbe di realizzare un impianto da 300mila tonnellate (circa la metà della capacità attuale del maxi-stabilimento di Acerra, che tuttavia si punta a massimizzare portandola a quota 750mila tonnellate annue). La nuova programmazione servirà a De Luca anche per chiedere al Ministero dell’Ambiente di ritoccare questo dato: su questo fronte sarà in buona compagnia considerata la riluttanza di quasi tutti i territori ad accettare nuovi inceneritori. Ma questa è un’altra storia. Tornando al nuovo piano in fieri, la strategia di Palazzo Santa Lucia per rilanciare l’organizzazione del ciclo campano passa attraverso tre direttrici: differenziata spinta, impianti per il trattamento della frazione organica e ottimizzazione delle discariche.
L’obiettivo è portare la raccolta differenziata su base regionale a quota 65% entro il 2019, ma nel piano si legge che anche se lo scenario non dovesse realizzarsi fermandosi ad un comunque lusinghiero 60%, la Campania riuscirebbe ugualmente a fare a meno di un nuovo termovalorizzatore. Con studi riferiti a dati certi relativi all’anno 2014, la strategia individua come il ritardo registrato in termini di percentuali di raccolta differenziata per la provincia di Napoli potrebbe essere colmato con una riduzione dei sistemi stradali a favore del sistema domiciliare. I comuni che hanno adottato il porta a porta, infatti, hanno già raggiunto livelli di raccolta differenziata superiori al 65% previsto dalla norma e, in alcuni casi, superiore al 70%. Ma anche il livello di intercettazione dei centri di raccolta in provincia di Benevento (7,4%) conferma ancora una volta l’importanza di tali strutture per l’ottenimento di buone performance in termini di percentuale di raccolta differenziata. Alla promozione di queste strategie la Regione si propone di aggiungere l’implementazione di sistemi di incentivazione per gli utenti (quali sistemi di tariffazione puntuale, ma anche – in linea con le direttive della legge green economy – sistemi di premi e pene come addizionali o sconti sull’ecotassa sui conferimenti in discarica), la predisposizione di linee guida per uniformare le raccolte sul territorio e l’investimento in comunicazione e formazione. Misure che vanno a braccetto con gli strumenti previsti dalla legge di riordino varata nei mesi scorsi e che riportano in capo ai Comuni riuniti negli ambiti territoriali ottimali una buona quota di responsabilità, sia pure rispondendo ad una regia regionale, come per le politiche di informazione ed educazione e i programmi di prevenzione per la riduzione dei rifiuti.
Il Piano intende incrementare il recupero degli imballaggi in ambito regionale attuando il principio di prossimità. Questo, nelle intenzioni del legislatore campano, consentirà di ottenere una diminuzione dell’impatto ambientale connesso alla gestione dei rifiuti, di massimizzare il valore economico del rifiuto e di sviluppare le specificità impiantistiche dei diversi territori attraverso la realizzazione di filiere di recupero complete all’interno del territorio regionale. Obiettivi che passano attraverso una riorganizzazione dei servizi e un innalzamento degli standard tecnologici degli impianti che si aggiudicano i bandi di gara per la selezione tanto quanto degli STIR da rifunzionalizzare. Rispetto alle principali frazioni merceologiche, i target puntano a raggiungere, su base regionale, entro il 2020 una raccolta al 51% per carta e cartone, al 38% per la plastica, al 66% per il vetro e al 53% per metalli ferrosi e non ferrosi.
Sulla massimizzazione della raccolta e del trattamento della frazione organica da raccolta differenziata si poggiano le chances di successo del Piano Regionale: l’obiettivo è arrivare ad un fabbisogno di trattamento annuo di circa 750mila tonnellate entro il 2020. Massimizzare la raccolta e la valorizzazione di questa frazione – da sempre la più critica degli rsu – significa infatti sottrarre quote ai rifiuti avviati a discarica ed incenerimento. Tale fabbisogno di discarica potrebbe essere ulteriormente ridotto, con l’ottimizzazione dei processi di stabilizzazione della frazione umida trattata negli impianti TMB a seguito della loro rifunzionalizzazione, con maggiori perdite di processo e la produzione di un biostabilizzato da utilizzare nei recuperi ambientali. Ma è su vecchi e nuovi impianti di compostaggio e biodigestione che De Luca punta più che mai. Il Piano prevede che al fine di favorire il principio di prossimità gli impianti di trattamento della frazione organica dovranno garantire una potenzialità complessiva pari a 744.524 t/anno, ripartita per ambito territoriale ottimale. Tuttavia, calcolando sulla capacità totale degli impianti un 20% di strutturante ed un ulteriore 25% circa di trattamento dedicato a matrici diverse dalla frazione organica, anche avvalendosi degli impianti privati sul territorio si richiederebbe un ulteriore fabbisogno di trattamento di circa 320.000 t/anno. Per far fronte a tale fabbisogno la Regione nell’ultimo anno ha raccolto le manifestazioni di interesse delle varie amministrazioni comunali e delle Società provinciali ad offrire aree per permettere a tutti gli Ato una gestione di prossimità della frazione umida da raccolta differenziata. Dovrebbero quindi sorgere 11 piccoli nuovi impianti: uno da 36mila tonnellate ad Avellino nello Stir di Pianodardine; due da 25mila e 6mila tonnellate a Benevento, rispettivamente nello Stir di Casalduni e presso il Comune di Molinara; due da 40mila tonnellate a Caserta, presso lo Stir di Santa Maria Capua Vetere e presso il Comune di Rocca d’Evandro; ben cinque nel Napoletano (100mila tonnellate per la Città di Napoli, 60mila nello Stir di Giugliano, 10mila nello Stir di Tufino, 60mila ad Afragola e 40mila a Pomigliano d’Arco); infine, a Salerno, un impianto da 40mila tonnellate nel Comune di Sarno. Anche in questo caso, però, De Luca dovrà contrattare con il Ministero una revisione delle previsioni: il decreto attuativo dello Sblocca Italia sugli impianti di trattamento dell’organico valuta per la Campania un fabbisogno di trattamento entro un intervallo compreso tra le 865.423 e le 982.653 tonnellate annue, ma secondo i tecnici di Palazzo Santa Lucia è una stima che non considera l’effettiva composizione merceologica dei rifiuti urbani all’origine, gli obiettivi di riduzione dei rifiuti e di qualità delle raccolta differenziata. Vedremo se il dicastero di Via Cristoforo Colombo accetterà anche questa revisione accanto allo stralcio del nuovo termovalorizzatore.
Oltre agli STIR (che vanno rifunzionalizzati) e al termovalorizzatore di Acerra (il cui tonnellaggio va incrementato) la rete di trattamento del residuo viene completata dagli impianti di discarica controllata. Nonostante siano in fondo alla gerarchia europea di gestione dei rifiuti, infatti, il Piano in fieri, alla luce di una riduzione della produzione del 5% ed un target di differenziata del 65% accompagnati dagli ambiziosi incrementi sulle percentuali di effettivo recupero di materia, mira a ridurre progressivamente la quota di indifferenziato al punto da rendere sconveniente un nuovo inceneritore e plausibile lo sfruttamento degli impianti sul territorio per una sempre più bassa quota di residuo. Nelle proiezioni della delibera regionale tra 2016 e 2020 la produzione totale di rifiuti dovrebbe abbattersi di circa 100mila tonnellate, ma sottraendo frazione organica e raccolta differenziata del secco al 65%, al netto dei rifiuti destinati ad Acerra nello stesso periodo il residuo passerebbe da 326.520 a 47.867 tonnellate. In altre parole l’obiettivo è di ricorrere alla discarica per meno di 50mila tonnellate ogni anno. Una stima che tuttavia si alza fino a quota 166.522 tonnellate nel caso in cui la raccolta differenziata dovesse fermarsi al 60%. In entrambi gli scenari, il fabbisogno cumulativo di conferimenti in discarica per questa “fase transitoria” si attesterebbe intorno alle 800mila tonnellate di rifiuti in uscita dai TMB. Un fabbisogno che il redigendo Piano punta a coprire incrementando nel breve termine la capacità delle due discariche ancora in funzione sul territorio, gli impianti di San Tammaro (CE) e Savignano Irpino (AV), con capacità residue rispettivamente di 50mila e 10mila tonnellate, ma che a Savignano potrebbero incrementarsi nell’ordine di 300mila tonnellate annue con la realizzazione di un nuovo lotto. Ma non basterebbe, e allora ecco che spunta l’idea di riaprire il sito sotto sequestro di Sant’Arcangelo a Trimonte, nel Beneventano, per il quale è individuato un incremento potenziale nell’ordine di ulteriori 200mila tonnellate. In poco tempo si passerebbe ad una capacità di 560mila tonnellate che pur restando insufficienti rispetto al margine di 800mila già preventivato, aprirebbero con ogni probabilità all’individuazione di almeno due nuovi siti da convertire in discariche di servizio. Con ogni probabilità da individuare nelle province di Napoli e Salerno ad oggi totalmente sguarnite di impianti di discarica per permettere una gestione di prossimità ai relativi ambiti territoriali.