Nel 2013 il Parlamento europeo, ribadendo un concetto già normato 20 anni prima, ha messo al bando l’amianto da tutti gli Stati membri. L’Italia è estremamente indietro rispetto agli obiettivi comunitari e l’unico documento che poteva far sperare in un avvio delle procedure per rispettare la scadenza, il Piano nazionale, è rimasto chiuso in un cassetto dal 2013, anno in cui era stato redatto.
«La legge che vietava l’uso, la commercializzazione e l’importazione di amianto, risale al 1993 – spiega Andrea Maestri, parlamentare del Gruppo misto – e nonostante un ritardo ventennale, ancora non abbiamo dotato quel piano di gambe per camminare verso la sua stessa applicazione». Molte sono le regioni (Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia e Sardegna) che non hanno nemmeno ancora elaborato il censimento e di lavoro da fare ce n’è davvero troppo, tanto da ritenere utopistico riuscire a rispettare la scadenza del 2028. Inoltre, il mesotelioma maligno, patologia che gli esperti ritengono sia strettamente legata all’esposizione all’amianto, ha un lunghissimo periodo di incubazione, per cui «è ragionevole temere – spiega l’onorevole – che nel 2020 ci sarà un picco di ammalati».
Studi recenti dimostrano che sarebbero necessari almeno 85 anni per liberare il nostro Paese dall’amianto. Il Cnr (Centro nazionale di ricerca), stima la presenza di 32 milioni di tonnellate di amianto, dislocate su 75 mila ettari di territorio, in circa 38 mila siti totali italiani. Città, scuole, strade, uffici pubblici, luoghi quotidianamente frequentati dai cittadini, sono da bonificare. Ma una mappa dettagliata ancora non c’è. I dati più allarmanti riguardano la salute. L’ultimo report redatto da Legambiente informa che sono circa quattromila i decessi per malattie da esposizione all’amianto, con oltre 15 mila casi di mesotelioma maligno diagnosticato nel quindicennio compreso tra il 1993 e il 2008. Solo a maggio 2016 Governo, Regioni, Province e Comuni hanno tenuto una conferenza interforze istituendo un tavolo permanente per affrontare la questione attraverso “Piani di azione biennali” mirati a mappare tutto il territorio da assoggettare a bonifica, individuare i siti in cui raccogliere il materiale rimosso, pianificare interventi di bonifica, assicurare assistenza sanitaria agli ex-esposti all’amianto individuando percorsi clinico-diagnostico-terapeutici e assistenziali per i pazienti affetti da mesotelioma e patologie tumorali correlate.
Ma mentre le Istituzioni si organizzano, il fenomeno dell’importazione illegale di amianto, prosegue. «Tra il 2011 e il 2014 sembra che l’Italia, abbia continuato ad importare asbesto, in particolar modo dall’India –spiega Maestri – parliamo anche di 1000 tonnellate l’anno contravvenendo alle disposizioni europee, a quanto stabilisce il piano nazionale, e soprattutto, violando l’articolo della Costituzione che sancisce come sacrosanto il diritto alla salute». L’amianto importato sarebbe stato impiegato nella produzione di prodotti che vengono poi esportati in Paesi come Emirati Arabi, Arabia Saudita, Nepal, Israele, Angola, Sud Africa, Oman e Canada. Un mercato estremamente ricco e che continua ad arricchirsi sulla pelle dei cittadini italiani.
In attesa che l’Italia tiri fuori dal cassetto un piano di cui l’intero Paese ha bisogno, varie timide iniziative spuntano all’orizzonte. La prima è quella dell’Inail. L’istituto di previdenza ha messo al bando fondi per 276 milioni di euro di contributi a fondo perduto per progetti di miglioramento dei livelli di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da erogare a privati e non solo. Se e quanti soggetti abbiano partecipato al bando, espletato lo scorso 26 maggio, sembra essere una notizia riservata dal momento che l’Inail, contattato dalla nostra redazione si è riservato di rispondere via mail nei seguenti termini: «Al momento non abbiamo ancora la reportistica i cui dati potranno comunque essere divulgati solo successivamente alla loro ufficializzazione e pubblicazione sul sito istituzionale». Sembra invece imminente la pubblicazione di un decreto che stanzia incentivi per la rimozione dell’amianto. L’incentivo dovrebbe essere erogato sotto forma di credito d’imposta del 50% delle spese sostenute e ripartito in 3 quote annuali, a favore dei titolari di reddito d’impresa che effettuano interventi di bonifica dell’amianto su beni e strutture produttive. L’investimento per essere incentivato dovrà essere di almeno 20.000 euro e avvenire sul territorio italiano. Il limite di spesa complessivo della misura è di 5,667 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019. Dovrebbe inoltre essere istituito un apposito fondo per promuovere la realizzazione di interventi di bonifica di edifici pubblici, con una dotazione finanziaria di 5,536 milioni di euro per l’anno 2015 e di 6,018 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017.
Se, in effetti, il dl Green Economy fosse ossequiosamente rispettato, si sbloccherebbero delle risorse economiche da investire in interventi di bonifica tali, da creare economia. «Sarebbe economia buona, per l’onorevole Maestri – ma occorre che il Governo sia realmente intenzionato a dare linfa al piano nazionale amianto». E su questo punto che Maestri ha coofirmato un’interpellanza sollecitando il Governo a rispondere celermente su quali iniziative di competenza intendano assumere per interrompere il commercio illegale di amianto, fermare le importazioni illegali, e accelerare l’applicazione del piano nazionale.