ROMA. Piani regionali mai adottati, mappature dei siti contaminati incomplete, eccessiva complessità delle normative in materia. Sono solo alcuni degli ostacoli al completamento delle bonifiche dei siti contaminati da amianto in Italia, mentre la fibra killer continua a mietere vittime ad un ritmo spaventoso, che l’Inail calcola in quattromila decessi all’anno. Un’ecatombe destinata a protrarsi ancora a lungo nel tempo. «Al ritmo attuale di bonifica occorrerebbero ancora 85 anni, un’infinità, per risolvere il problema» ha dichiarato il presidente dell’Inps Tito Boeri in occasione dell’Assemblea nazionale sull’amianto promossa dalla Commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali.
Si stima che sul territorio italiano siano ancora presenti 40 milioni di tonnellate di amianto, sparse in migliaia di siti, che vanno da quelli di maggiori dimensioni come Casale Monferrato e Bagnoli, agli stabilimenti industriali attivi e dismessi, dagli edifici pubblici e privati con coperture in cemento amianto ai micrositi e agli sversatoi abusivi. Impossibile al momento conoscere l’esatto numero delle realtà contaminate da asbesto, visto che le operazioni di censimento e mappatura cui le Regioni sono obbligate in virtù della legge 257 del 1992 sono state portate avanti in modo discontinuo negli anni. «L’aggiornamento al novembre 2015 fa rilevare oltre 44mila siti sparsi sul suolo nazionale – ha affermato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – dato parziale, visto che alcune regioni non stanno provvedendo ad aggiornare la mappatura, in alcuni casi risalente a quasi sei anni fa, rendendo ancor più complessa l’azione di monitoraggio e di intervento». La mappatura è stata completata solo in dieci Regioni, mentre sono addirittura sei le Regioni che, a vent’anni di distanza dalla legge del 1992, non hanno ancora adottato un piano regionale amianto. Anche per questo il fenomeno continua ad essere sottostimato.
Ai circa 40mila siti mappati fin ora, secondo l’Osservatorio Nazionale Amianto andrebbero aggiunti circa un milione di micrositi, per un totale di 40 milioni di tonnellate di materiali contaminati da asbesto, di cui soltanto il 2% è stato avviato correttamente a smaltimento. A complicare le cose ci si mette anche la cronica carenza di impianti per lo smaltimento dei rifiuti contaminati da asbesto. Secondo un monitoraggio effettuato dall’Inail, sono solo 11 le Regioni italiane dotate di discariche autorizzate a ricevere rifiuti contenenti amianto, con una capienza collettiva insufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale di smaltimento.
Situazione aggravata dall’estrema complessità del quadro normativo in materia, una selva di circa 400 norme tra nazionali e regionali, spesso in contraddizione tra loro. Motivo per cui la presidente della commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro di Palazzo Madama, Camilla Fabbri, ha promosso l’adozione di un Testo unico. «L’obiettivo – ha detto Fabbri – è quello di presentarlo entro giugno». Con l’auspicio che il futuro testo unico non condivida la stessa sorte del Piano Nazionale Amianto, partorito nel 2013 dai ministeri dell’Ambiente e della Salute per promuovere interventi di monitoraggio e bonifica dei siti contaminati, di micro raccolta e contrasto degli sversamenti abusivi, ma anche di assistenza a favore delle vittime dell’asbesto. Un progetto ambizioso ma, proprio per questo, troppo costoso, fermo ormai da anni in Conferenza Stato Regioni per mancanza di fondi da destinare alla sua attuazione.
Magra consolazione l’inserimento nel ddl Green Economy di una serie di agevolazioni a vantaggio delle amministrazioni pubbliche e dei privati che decidano di avviare operazioni di bonifica dell’amianto: un fondo da 6 milioni all’anno per tre anni per finanziare la bonifica di edifici pubblici e la concessione di credito d’imposta del 50% per i soggetti titolari di reddito d’impresa che effettuino nel triennio 2016-2018 interventi di bonifica d’amianto sulle aree produttive.