27 marzo del 1992. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge numero 257 si sancisce la cessazione definitiva dell’impiego di amianto in Italia. Quasi un quarto di secolo è passato dalla messa al bando della fibra killer, ma l’emergenza non è mai finita. Perchè in Italia, di amianto, ancora si muore. Un’epidemia silenziosa, che si consuma quotidianamente in ogni angolo del Paese. Nell’inerzia delle istituzioni nazionali e locali, incapaci in venticinque anni di mettere a punto piani concreti di bonifica e contrasto alla contaminazione da asbesto. Le proporzioni del dramma restano tuttora spaventose. «In Italia abbiamo prodotto negli anni circa 3mila applicazioni con uso di amianto. Oggi abbiamo ancora 40 milioni di tonnellate di materiali contenenti fibre cancerogene, alle quali corrispondono almeno 6mila decessi ogni anno, considerando asbestosi, placche ed ispessimenti pleurici e complicazioni cardiovascolari». A snocciolare i numeri della strage da asbesto è l’avvocato Ezio Bonanni, cassazionista, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto.
«Il problema è che alla messa al bando, nel 1992, non ha mai fatto seguito un vero impegno a contrastare le esposizioni all’amianto. Esposizioni che continueranno – spiega Bonanni – per i prossimi 20, 30, 40 anni e con loro le patologie e le morti. Morti terribili, tragedie per intere famiglie». Tragedia per un Paese intero, tuttora zeppo di manufatti contenenti amianto. Coperture, tubazioni, coibentazioni. Ovunque. Nelle scuole, negli ospedali, nelle caserme, nei treni. Gli stessi treni che ad Avellino gli operai dell’Isochimica per anni hanno “scoibentato” a mani nude e senza alcuna protezione. Conoscere l’esatta localizzazione sul territorio nazionale dei siti contaminati da amianto è il primo passo per una bonifica efficace. Questo lo spirito con il quale, nella legge 257, fu introdotto l’obbligo per le Regioni di dotarsi di un piano regionale amianto e di provvedere alla mappatura ed al censimento dei siti contaminati. Venticinque anni dopo, però, sei Regioni non hanno ancora adottato il piano, mentre le operazioni di mappatura e censimento procedono a rilento. Dalla Calabria, in particolare, non sono mai pervenuti dati.
«Grazie ai registri istituiti dall’Ona sul suo portale web abbiamo potuto stimare in circa un milione i siti e micrositi contaminati da amianto in Italia. Purtroppo l’azione delle istituzioni nazionali e locali è inefficace: non c’è personale e non ci sono fondi. Servono risorse importanti per completare la mappatura – spiega Bonanni – ma anche per aggiornare i registri del Renam (Registro Nazionale Mesoteliomi). Al momento però si procede quasi esclusivamente in virtù dell’attività di volontariato o grazie all’azione “eroica” di pochi dipendenti pubblici». Così le bonifiche restano ferme al palo e, nel frattempo, si continua a morire. Fermo al palo è anche il Piano Nazionale Amianto, varato nel 2013 dal Governo Monti ma mai adottato dagli enti locali. Dieci i milioni di euro stanziati a suo tempo dall’esecutivo “tecnico” per mettere in atto il programma di monitoraggi e bonifiche. Una cifra irrisoria. Tant’è che il Piano si è arenato in Conferenza Stato-Regioni. «A mancare – osserva il presidente dell’Ona – è la volontà politica di risolvere il problema. Ci si è limitati a fare piani senza finanziamenti e il risultato è che a quasi venticinque anni dalla legge amianto non abbiamo ancora una mappatura completa. Siamo di fronte ad un fallimento generale del sistema pubblico».
Un nuovo impulso per tentare di sbloccare lo stallo potrebbe essere quello arrivato con la legge “Green Economy”, in vigore dallo scorso 2 febbraio, che contiene misure volte a promuovere le bonifiche da amianto, come il credito d’imposta per le imprese che scelgano di finanziare operazioni di rimozione dei manufatti contaminati. «Questa è una misura che l’Ona promuove da anni – spiega Bonanni – e che il Governo ha fatto sua con lungimiranza, anche se in ritardo. Purtroppo temo non sia una misura sufficiente». Resta poi il problema dello smaltimento, che pure pesa sui tempi (e sui costi) delle operazioni di bonifica. Al momento, infatti, non esiste alternativa al conferimento dei manufatti rimossi in discariche speciali. Secondo un monitoraggio effettuato dall’Inail, però, sono solo 11 le Regioni italiane dotate di discariche autorizzate a ricevere rifiuti contenenti amianto, con una capienza collettiva insufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale di smaltimento. «Occorrerebbe in primo luogo dotarsi di discariche il più vicine possibile al sito contaminato – osserva Bonanni – per limitare i costi di trasporto e soprattutto il rischio che durante lo spostamento parte dell’amianto rimosso possa essere “deviato” rispetto alla discarica. Al momento – aggiunge – la discarica resta però l’unica soluzione, anche perché i sistemi di inertizzazione, che anche il comitato tecnico-scientifico nazionale dell’Ona sta studiando, hanno tuttora bisogno di attente verifiche. Occorre essere certi che durante il processo non ci sia rilascio di polveri e che, una volta trattato, il materiale sia effettivamente inerte».