BRUXELLES. Un salasso inevitabile. È quello al quale sta andando incontro l’Italia per la mancata applicazione della direttiva comunitaria 271 del 1991 sul trattamento delle acque reflue. Inadempienza che nelle prime settimane del 2016 potrebbe tradursi nell’ennesima condanna a pagare salatissime sanzioni. Scadrà a gennaio prossimo infatti il termine ultimo per adeguarsi ai contenuti della sentenza di condanna emessa nel luglio 2012 dalla Corte di Giustizia Europea a carico dell’Italia per le carenze infrastrutturali dei sistemi di raccolta e trattamento degli scarichi fognari in 88 agglomerati urbani con più di 15mila abitanti. Stando al trattato di Lisbona del 2007, ogni Paese ha tre anni di tempo per adeguarsi ad una sentenza di condanna. Qualora la Commissione Europea ravvisasse ritardi nell’adeguamento alle prescrizioni dei Giudici, potrebbe scegliere di deferire nuovamente il Paese alla Corte, che a sua volta provvederebbe ad emettere una nuova sentenza di condanna e, con essa, le tanto temute sanzioni. Un’ipotesi che, per l’Italia, si fa giorno dopo giorno più concreta.
Più del 50% degli agglomerati urbani condannati nel 2012 dalla Corte UE è concentrato in Sicilia (52 agglomerati), ma la lista comprende anche Calabria (14), Campania (9), Liguria (5), Puglia (4), Friuli Venezia Giulia (2), Lazio (1) e Abruzzo (1). In caso di condanna, saranno proprio le regioni a dover rispondere di tasca propria alle sanzioni eventualmente comminate. Anche se, più che un’eventualità, quella delle sanzioni è una vera e propria certezza. Per scongiurare il rischio di una seconda condanna e delle annesse multe, infatti, con la delibera Cipe 60 del 2012 erano stati stanziati complessivamente 1807 milioni di euro, tra fondi strutturali e fondi europei per lo sviluppo regionale, finalizzati a finanziare 182 interventi di adeguamento delle reti fognarie in tutta Italia. Interventi che, per la maggior parte, sarebbero dovuti servire a rifunzionalizzare proprio gli 88 agglomerati oggetto della condanna del 2012. Il condizionale qui è d’obbligo, visto che da uno screening condotto lo scorso marzo dal Ministero dell’Ambiente è emerso che solo 11 agglomerati si sono adeguati alla sentenza. Nei restanti 77 casi, invece, i lavori sono destinati a protrarsi ben oltre la scadenza del dicembre 2015. In alcuni casi bisognerà aspettare addirittura il 2020. A quel punto, però, la scure delle maximulte potrebbe essere già calata sul capo delle amministrazioni inadempienti. Un ritardo che oltre ad esporre l’Italia al rischio di sanzioni milionarie, provoca la quotidiana dispersione di liquami e fanghi contaminanti, che in assenza di sistemi adeguati di collettamento e depurazione, finiscono in mare, nei corsi d’acqua, o nei campi.
A frenare gli interventi il tradizionale carico di zavorre politiche, burocratiche ed amministrative: ritardi nella messa a punto dei progetti definitivi, lungaggini ed irregolarità nelle gare d’appalto, inerzia delle amministrazioni locali. Un quadro desolante, che ha portato nei mesi scorsi al commissariamento di ben 13 interventi in Sicilia ed all’attivazione di proposte di commissariamento per altri 13 interventi in 10 comuni tra Campania e Sicilia. Il forcing di Palazzo Chigi, che alla questione acque reflue ha dedicato un’apposita “struttura di missione”, potrebbe però non bastare ad evitare un nuovo pronunciamento dei giudici del Lussemburgo.
In caso di condanna, salirebbe a tre il numero delle sentenze con annesse sanzioni emesse a carico dell’Italia in materia ambientale in poco più di un anno. Un vero e proprio record. A dicembre la Corte Europea di Giustizia aveva condannato l’Italia al pagamento di una multa forfettaria da 40 milioni, più 42 milioni 800mila euro per ogni semestre di inadempienza nella bonifica di 198 discariche abusive. Poi, a luglio, la condanna a pagare 20 milioni di euro di multa più una penalità giornaliera da altri 120mila euro per le inadempienze nella gestione dei rifiuti in Campania. Senza dimenticare che i ritardi nell’adeguamento delle reti fognarie alla direttiva europea del 1991 sono tuttora al centro di altre due procedure d’infrazione: una giunta a sentenza nel 2014 e riguardante 39 agglomerati urbani e l’altra avviata solo lo scorso marzo con un parere motivato della Commissione Europea nel quale si censivano criticità in ben 817 agglomerati con meno di 2mila abitanti. Complessivamente, secondo una stima elaborata dalla task force di Palazzo Chigi per l’emergenza acque reflue, la cifra complessiva delle sanzioni UE potrebbe ammontare a circa 480 milioni di euro l’anno dal 2016 e fino al completamento delle opere.