Acqua, ne abbiamo sempre meno ma ne sprechiamo sempre di più

di Redazione Ricicla.tv 22/03/2023

Secondo ISPRA la disponibilità di acqua nel nostro paese è diminuita del 20%, ma continuiamo a consumarla e sprecarla come fosse infinita. Secondo Utilitatis serve un modello circolare che passi per il rafforza mento della governance in chiave industriale. Ma, dice Donato Berardi, serve anche un sistema di regole che dia all’acqua il giusto prezzo


A pochi giorni dall’ultimo allarme dell’IPCC sui ritardi nelle politiche mondiali di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, la Giornata Mondiale dell’Acqua fotografa un’Italia nel pieno di una delle peggiori crisi idriche degli ultimi anni. E mentre il governo lavora al nuovo decreto d’emergenza, i numeri confermano quanto ci tocchi da vicino l’allarme lanciato dall’ONU in occasione della conferenza mondiale che si svolgerà oggi a New York. “La scarsità di acqua sta diventando endemica”, avvertono le Nazioni Unite. E il nostro paese non fa eccezione. Nell’ultimo trentennio climatologico spiega ISPRA la disponibilità di acqua è diminuita del 20% rispetto al valore di riferimento storico di 550 mm, registrato tra il 1921–1950. Il conto, salatissimo, del climate change. Piove meno e le temperature elevate accelerano l’evaporazione, spiega l’Istituto, riducendo “la disponibilità di risorsa e le riserve idriche per i diversi usi (civile, agricolo, industriale) e per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che essi erogano”. Pur avendone sempre meno a disposizione, continuiamo però a consumare acqua come fosse una risorsa infinita.

Secondo stime di Istat e Utilitatis, il consumo d’acqua complessivo tra 2015 e 2019 ha superato i 30 miliardi di metri cubi, destinati per quasi il 70% all’utilizzo irriguo (56%) e nell’industria (13%). Secondo Istat il volume per uso potabile prelevato per impieghi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, industriali e agricoli che rientrano nella rete comunale è di 9,19 miliardi di metri cubi nel 2020. Vale a dire 25,1 milioni di metri cubi al giorno, pari a 422 litri per abitante. Siamo primi in Ue per consumo d’acqua dolce e per quasi un terzo la preleviamo dal distretto idrografico del Po: 2,80 miliardi di metri cubi, pari al 30,5% del totale nazionale. Tutto questo mentre il principale fiume italiano fa registrare in molte aree livelli fino a 3 metri inferiori allo zero idrologico. Ma a Cremona si toccano addirittura i -7 metri. Secco come nel cuore dell’estate più rovente. Peccato che la primavera sia appena cominciata.

Il problema è che oltre a consumare più degli altri, sprechiamo tanto. Nel 2020 le reti locali hanno perso 3,4 miliardi di metri cubi, il 42,2% dell’immesso. In Basilicata, Abruzzo, Sicilia e Sardegna si supera il 45%. All’acqua che filtra dalle condutture groviera va poi sommata quella piovana, già di per sé sempre più scarsa, che non riusciamo a trattenere in grandi e piccoli invasi: quasi il 90%, secondo Utilitatis. E c’è poi l’acqua che buttiamo via, quando invece potremmo riutilizzarla. Dai depuratori collegati ai nostri sistemi fognari, spiega Utilitatis, potremmo infatti ricavare circa 9 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, utili a soddisfare il 45% del fabbisogno del settore agricolo, che assorbe ogni anno oltre la metà dell’acqua consumata dall’intero paese e la cui tenuta economica rischia di saltare per effetto dei periodi di siccità sempre più prolungati e intensi: nel 2022 Coldiretti ha stimato in 6 miliardi di euro i danni per il settore, che al momento però, insieme all’industria, assorbe solo il 5% (475 milioni di metri cubi) dell’acqua depurata.

“Il cambiamento climatico accresce l’esigenza di una corretta gestione della risorsa idrica” si legge nel ‘Blue Book’ di Utilitatis, che sollecita il passaggio a un modello circolare basato su riduzione degli sprechi, raccolta, recupero e riutilizzo. Prima però serve completare la riorganizzazione della governance di settore, che soprattutto al Sud fa registrare ancora un’elevata frammentazione, mentre a livello nazionale sono complessivamente ancora 8 i milioni di abitanti serviti ‘in economia’. Anche se gli investimenti crescono, attestandosi nel 2021 a 56 euro per abitante, nelle gestioni ‘in economia’ si piomba a 8 e comunque la media nazionale resta ben al di sotto di quella Ue, pari a 82 euro per abitante. Un contributo in questa direzione verrà dal PNRR, che oltre a mettere sul piatto più di 4 miliardi di euro da investire in nuove infrastrutture e digitalizzazione, ha promosso un piano di riforme per spingere il passaggio definitivo dalle gestioni disaggregate a una governance industriale.

Ma la transizione verso un nuovo modello, oltre che dalle infrastrutture e dalla governance, non può prescindere da un sistema di regole e prezzi in grado da un lato di incentivare consumi efficienti e pratiche virtuose, e dall’altro di rendere evidente il costo della scarsità. “Ancora oggi – spiega Donato Berardi, direttore del laboratorio Ref Ricerche – gran parte dell’acqua utilizzata in agricoltura e industria è prelevata dall’ambiente in modo indiscriminato, senza misurazioni e controlli, con pozzi o prelievi spontanei dai fiumi, e a costi comunque irrisori”. Che restano più bassi di quelli dell’acqua depurata e affinata i cui consumi, anche per questo, non decollano. Un nodo da sciogliere nel regolamento allo studio del governo, che dovrà allineare il nostro paese alla nuova disciplina europea in vigore dal prossimo 26 giugno. “Se vogliamo bene all’acqua – dice Berardi – la prima cosa è regolamentarne l’uso e darle un prezzo”.

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