Da Utilitalia nuove indicazioni per rendere la filiera dei rifiuti tessili più trasparente e sostenibile.
Che fine fanno i capi di abbigliamento di cui ci sbarazziamo per fare spazio nell’armadio ai nuovi acquisti? Domanda lecita; risposta che spesso, però, conduce all’illecito. Sì, perché purtroppo la filiera degli indumenti usati, nonostante abbia origine dal mandato di solidarietà dei cittadini, non sempre rispetta etica e legalità, finendo per alimentare un traffico intorno al quale ruotano grandi profitti.
«Il settore, come abbiamo visto, ha avuto diversi casi di illegalità. Parlo di giro bolla, esportazioni illegali, mancata selezione e igienizzazione, smaltimento illecito degli scarti e anche infiltrazioni mafiose. Insomma, questa filiera non si è fatta mancare nulla», Stefano Vignaroli, Presidente Commissione Ecomafie.
Per questo Utilitalia ha voluto fornire alle proprie associate Linee guida per selezionare operatori onesti, promuovendo una più ampia tracciabilità della filiera.
«Queste Linee guida non vanno intese come una normativa specifica, ma quanto più come uno strumento per aiutare la stazione appaltante a conoscere il settore», Alberto Ferro, coordinatore Commissione raccolta differenziata e riciclaggio Utilitalia.
Anche perché dal 1° gennaio 2025 scatterà in tutta Europa l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili, scadenza che in Italia è stata anticipata al 1° gennaio 2022. Tre sono gli obiettivi che la federazione si è posta nello stilare le linee guida, come illustrato da Simona Barchiesi, Area Giuridico Legislativa e Fiscale Utilitalia: «Il primo è stato quello di implementare la trasparenza e la legalità della filiera; il secondo obiettivo è quello di valorizzare tutti gli operatori; connesso al primo e al secondo, il terzo obiettivo è quello di rendere effettivi gli obiettivi solidali».
Tra i macro temi a cui il documento riserva particolare attenzione vi è l’annosa questione dell’abusivismo, il primo anello di filiere potenzialmente non tracciate e prive di garanzie di trasparenza, come spiegato da Bernardo Piccioli, Settore Ambiente Utilitalia: «Il primo suggerimento che ci siamo sentiti di dare alle stazioni appaltanti è, a prescindere dalla modalità di affidamento adottata, quella di vigilare con il supporto dell’appaltatore sull’effettuazione di raccolte abusive, siano esse effettuate attraverso contenitori stradali o tramite raccolte porta a porta».
Dal canto loro gli operatori della filiera lamentano la mancanza di impianti, soprattutto quelli di destinazione finale.
«Non esistono. Non sono, come può immaginare qualcuno, impianti nei quali si compie il ciclo del riuso e riciclo, ma sono impianti tipicamente di selezione. Rarissimamente si occupano anche di riciclare quel 60% che non è riusabile; quello di qualità è ceduto alle aziende di Prato, in gran parte finisce in India e Pakistan ad altre imprese che riciclano in maniera rudimentale», Andrea Fluttero, Presidente CONAU.
Insomma, intorno alla filiera della frazione tessile ci sono ancora tanti nodi da sciogliere, a partire dal ruolo delle imprese nelle loro funzioni di stazioni appaltanti, a cui spetterebbe anche il compito di vigilare sulle raccolte illecite.
«Stiamo parlando di un settore che non chiude il ciclo per gran parte di questi rifiuti all’interno del territorio nazionale e si rivolge ad impianti esteri, ma è anche vero che le nostre imprese sono chiamate ad essere responsabili del rifiuto fino alla loro destinazione finale. Questi elementi di verifica dei vari passaggi della filiera non sono sostitutivi dei controlli delle istituzioni o delle forze dell’ordine ma sono preventivi rispetto all’affidamento di un servizio a un soggetto terzo e noi siamo chiamati a verificare che quest’ultimo abbia i requisiti e che si comporti correttamente», Filippo Brandolini, Vice Presidente Utilitalia.