Il MEF: Le nuove norme «non sono di semplice lettura» in quanto «non si coordinano con le disposizioni già vigenti in materia di Tari»
Riferimenti a disposizioni ormai abrogate, mancanza di coordinamento con la disciplina vigente in materia di tariffazione sui rifiuti, necessità di aggiornare i regolamenti comunali sulla Tari. In parole povere: un pasticcio. Questo devono aver pensato i tecnici del Ministero dell’Economia chiamati a rispondere ai dubbi sollevati dagli esperti e dai lettori del Sole 24 Ore al Telefisco 2021 in merito alle novità sulla Tari introdotte dal decreto legislativo 116/2020, che ha recepito la direttiva rifiuti contenuta nel pacchetto europeo di misure sull’economia circolare. Un autentico rompicapo, per gli esperti del MEF, soprattutto nei passaggi che dovrebbero disciplinare la possibilità, per le utenze non domestiche, di fuoriuscire dal servizio pubblico e di affidare i propri rifiuti urbani a un operatore privato, ottenendo la riduzione della quota variabile della Tari se si dimostra di averli avviati a recupero.
Il condizionale è d’obbligo visto che, scrivono i tecnici, le norme «non sono di semplice lettura» in quanto «non si coordinano con le disposizioni già vigenti in materia di Tari». E in effetti l’art. 3 comma 12 del dlgs 116 pur prevedendo che le aziende che avviano a recupero i propri rifiuti urbani tramite operatori privati per almeno cinque anni «sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti», quindi dalla parte variabile, fa però riferimento all’ormai abrogato articolo 238 del Testo unico ambientale, quindi alla disciplina della Tia2 (peraltro mai divenuta pienamente operativa) e non a quella della Tari. Quest’ultima invece, all’articolo 1 comma 649 della legge 147 del 2013, continua a prevedere che «nella determinazione della Tari, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati». Norma che fa esplicito riferimento al «riciclo» e non al «recupero», osservano al MEF, e che comunque andrebbe attualizzata, visto che «presenta ancora il riferimento ai rifiuti assimilati, categoria non più esistente». Insomma, da un lato le novità del 116, che però fanno riferimento ad un regime tariffario mai divenuto operativo, dall’altro la cara vecchia Tari. Dove sta la verità? Nel mezzo, dice il MEF, ritenendo che le due discipline «debbano essere contenute nel regolamento comunale, ciascuna secondo le proprie specificità, con la conseguente necessità di adeguare il regolamento stesso al nuovo quadro normativo».
Quindi, spiega il Ministero, fermo restando l’obbligo per le utenze non domestiche di corrispondere la quota fissa, che in ogni caso resta dovuta, «se un’utenza non domestica intende sottrarsi al pagamento dell’intera quota variabile, deve avviare al recupero i propri rifiuti urbani per almeno cinque anni, come stabilito dal comma 10 dell’articolo 238 del Tua. Se, invece, l’utenza non domestica vuole restare nel solco della previsione del comma 649 dell’articolo 1 della legge 147 del 2013, tenendo conto di quanto disciplinato dal regolamento comunale, la stessa può usufruire di una riduzione della quota variabile del tributo proporzionale alla quantità di rifiuti urbani che dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati, senza sottostare al vincolo di cinque anni fissato dal predetto comma 10». Un primo chiarimento, nell’attesa di indicazioni più precise da MEF, Ministero dell’Ambiente e Arera sulle modalità e i tempi per la fuoriuscita delle utenze non domestiche dal servizio pubblico e, più in generale, sulle conseguenze dell’entrata in vigore della nuova classificazione dei rifiuti urbani.