Ritirare un atto che va in senso opposto rispetto agli impegni assunti dal Governo ed adottare un decreto che riduca effettivamente il contributo annuale del Sistri. Decreto che, considerata la data in cui si scrive, preveda un sistema di compensazione negli anni futuri per quelle imprese (poco meno di 610mila unità produttive secondo le ultime stime) che ancora una volta dovranno pagare ben più del dovuto per colpa del Ministero dell’Ambiente e delle sue inadempienze.
Questa l’estrema sintesi della replica con cui l’On. Piergiorgio Carrescia ha replicato alla risposta della sottosegretaria Velo alla sua interrogazione relativa alla mancata adozione dell’annunciato decreto per la decurtazione degli oneri di iscrizione al Sistema Informatico di tracciabilità dei rifiuti. L’impegno del Governo, tra l’altro, era connesso ad iniziative parlamentari che portavano la sua firma e che non lasciavano granché spazio alle interpretazioni; spazio che il Ministero tuttavia si è preso.
«Tutti gli atti che ho richiamato nell’introdurre l’interrogazione erano finalizzati alla riduzione del contributo dal 1° gennaio 2016, non ad altri termini» esordisce l’interrogante, che richiama i vari atti a partire dalla Risoluzione approvata il 17 giugno 2015 fino agli ordini del giorno del 22 dicembre 2015 e del 10 febbraio 2016, tutti approvati ed accolti con parere favorevole dell’Esecutivo, tutti inequivocabilmente vincolanti il Ministero a trasmettere lo schema di decreto in oggetto all’Aula entro breve termine, ma soprattutto di adottarlo entro il 30 aprile 2016. Provvedimento sollecitato dallo stesso deputato membro della Commissione Ambiente alla Presidenza della Camera il 5 marzo scorso, mentre dal canto loro risale al 12 aprile la richiesta formale inviata al Ministero dalla Confederazione di PMI di Rete Imprese Italia.
«Ad oggi il Decreto non risulta pubblicato e tanto meno inoltrato […] e ora ci si viene a dire che non produrrà effetti per il 2016. Perché non è stato detto prima e sono stati espressi pareri favorevoli a Risoluzioni e Ordini del Giorno?».
È a dir poco insoddisfatto, Carrescia, che nell’accesa replica mette sul tavolo tutte le questioni, i dubbi e gli interrogativi che il Ministero tende ad accantonare da anni sull’intricata vicenda del Sistri e che in questi anni hanno contribuito ad inasprire lo scontro con le imprese del comparto.
«Non le nascondo la mia delusione – incalza Carrescia nella sua replica – il Ministero […] ha impiegato sei mesi a dare seguito ad un impegno e per quattro mesi ha negato la visione dello schema dell’Atto al Parlamento. Si viene in sostanza a dire che non è possibile ridurre i contributi Sistri perché c’è un contratto prorogato a Selex. […] La colpa del ritardo e della conseguente proroga non può essere scaricata ora sulle imprese e assunta come giustificazione!».
Una replica che prosegue ponendo quesiti ancora una volta inevasi e dei quali vorremmo ottenere anche noi una risposta. Considerato che, ad esempio, la controllata di Finmeccanica in liquidazione continua ad essere pagata per una prestazione, quella della costruzione della piattaforma, che negli anni avrebbe dovuto essere ampiamente ammortizzata: «Perché nonostante gli impegni assunti con il Parlamento si è definito un contratto con Selex alle stesse condizioni?». E ancora: «Esiste ad oggi un danno erariale?».
E ancora, alla luce del servizio di fatto mai erogato e di un sistema che non attende più di entrare in vigore ma di essere completamente resettato, Carrescia pone una questione giuridica e morale che imporrebbe la restituzione agli operatori almeno degli oneri erogati nel 2015 e (a questo punto) nel 2016: «Perché – ribadisce Carrescia – lo schema di decreto è stato finora negato al Parlamento?».
Al netto della mancata adozione del tanto discusso ed atteso decreto si registra, nel giorno delle onerose scadenze, ancora una volta, una falla enorme in termini di trasparenza. Falla che si consuma addirittura all’interno delle stesse istituzioni, vale a dire tra Governo e Parlamento. Ed è curioso che a sollevarla così apertamente sia un deputato membro della maggioranza di Governo, peraltro esponente dello stesso partito della sottosegretaria presente in Commissione per conto del Ministero, e che a sua volta tende a negare le stesse risposte più che a darne di insoddisfacenti. Contraddizioni politiche che poco hanno a che vedere con la quotidianità delle aziende, ma che la dicono lunga sui motivi della sfiducia nelle istituzioni che certe dinamiche inevitabilmente producono sulle stesse Pmi tante volte celebrate come spina dorsale del Paese.
Se questa vicenda deve insegnare qualcosa è che le parole non bastano davvero più: finanche gli atti ufficiali del Parlamento hanno perso valore. Alle imprese non resta che attendere la prossima scadenza: a loro tocca rispettarle sul serio.