A poco meno di un mese dall’entrata in vigore, arriva la prima richiesta ufficiale di proroga per la nuova disciplina sulla classificazione dei rifiuti. A formularla è l’Anci, con una proposta di emendamento alla legge di conversione del decreto “milleproroghe” attualmente all’esame della Camera. «L’impatto di tale disciplina – scrive l’associazione in una memoria depositata a Montecitorio – sulle modalità di gestione e di copertura finanziaria del servizio rifiuti – forse sottovalutati e scarsamente oggetto di concertazione preventiva – richiede un congruo periodo per i necessari e rilevanti adeguamenti delle prassi operative nelle operazioni di raccolta e gestione dei rifiuti. Tale transizione non può essere condotta ragionevolmente entro il 1° gennaio 2021, che in base all’attuale formulazione della norma, è il termine per l’efficacia del nuovo assetto normativo». ecco perchè l’Anci chiede più tempo per «consentire ai Comuni e agli operatori un più sostenibile processo di recepimento delle nuove regole» proponendo una «proroga al 2022 del termine in questione».
Una autentica rivoluzione copernicana forse, come osserva l’Anci, sottovalutata dallo stesso legislatore. Operativa dal primo gennaio 2021, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 116 del 2020 che recepisce la direttiva europea sui rifiuti contenuta nel pacchetto di misure sull’economia circolare, la disciplina «prevede una nuova classificazione dei rifiuti – spiega Anci – fondata sulla bipartizione tra rifiuti urbani, da un lato, e rifiuti speciali, dall’altro. Scompare quindi la categoria dei rifiuti assimilati, con conseguente soppressione della potestà regolamentare comunale di assimilazione per qualità e quantità». Il rischio, per i Comuni, è che la nuova misura possa tradursi in un aumento vertiginoso della Tari. «La nuova classificazione dei rifiuti – spiega il delegato Anci ai rifiuti Carlo Salvemini – consente ad attività produttive ed industriali la fuoriuscita dalla gestione pubblica della raccolta» cosa che «in assenza di regole chiare ed univoche di coordinamento con la disciplina tariffaria corrente rischia di aumentare la pressione fiscale sui cittadini e sulle piccole attività per recuperare il minor gettito, vista la notevole rigidità dei costi del servizio rifiuti».
Ma ad essere messi in crisi dalla nuova classificazione non sono solo i Comuni. Il decreto 116 estende di fatto lo status giuridico di rifiuto urbano a un lungo elenco di tipologie di rifiuti generati da attività produttive, commerciali e artigianali, un tempo speciali “assimilabili”, che secondo EcoCamere peseranno per circa 1,2 milioni di tonnellate. Per gestirli, se prima occorreva un’autorizzazione al trattamento di rifiuti speciali, da gennaio serve invece un’autorizzazione al trattamento degli urbani. Ciò significa che dall’entrata in vigore del decreto, a fine ottobre, fino al 31 dicembre avrebbero dovuto essere rinnovati i nulla osta di migliaia di operatori – dai raccoglitori ai gestori delle piattaforme di stoccaggio e degli impianti di trattamento. E mentre per l’adeguamento delle autorizzazioni agli impianti di trattamento al momento tutto è demandato all’iniziativa dei singoli enti locali competenti, ovvero Regioni e Province, per le iscrizioni delle aziende della raccolta e del trasporto l’Albo Nazionale Gestori Ambientali ha già disposto una proroga. «Nelle sole categorie per il trasporto le imprese iscritte sono circa 20mila. Non bastano due mesi per rivedere l’intero sistema – aveva detto ai nostri microfoni il Presidente dell’Albo Eugenio Onori – questa è una rivoluzione copernicana». Ma al Ministero dell’Ambiente nessuno sembra essersene accorto.