La raccolta differenziata cresce anche nelle regioni storicamente in ritardo, ma i costi di gestione restano elevati per l’assenza di impianti. I sindaci puntano il dito contro l’assegnazione dei fondi PNRR mentre le imprese private si dicono pronte a investire, ma chiedono tempi certi sul rilascio delle autorizzazioni. Ecco cosa è emerso nel corso del talk organizzato da Anci e Conai
Senza una adeguata dotazione di impianti l’Italia non riuscirà a raggiungere i target europei sull’economia circolare né tanto meno a godere dei benefici economici e ambientali di una corretta gestione dei rifiuti. Tutto questo nonostante il primato europeo conquistato negli ultimi 25 anni sul fronte della raccolta differenziata e avvio a riciclo degli imballaggi. “Siamo al 73,3% di riciclo – ha detto il presidente di Conai Luca Ruini nel corso di un talk organizzato con Anci – un risultato che è stato raggiunto anche alla luce della disomogeneità di performance a livello territoriale. Siamo più avanti degli altri pur avendo un Centro e un Sud in ritardo, sebbene stiano migliorando, e anche rapidamente. Questo ci fa ben capire che tipo di risultati possiamo ancora raggiungere”.
La strada, dicono però i sindaci, è ancora lunga. “Agli aumenti progressivi della raccolta differenziata – ha spiegato Carlo Salvemini, delegato Anci per energia e rifiuti – non si accompagna una adeguata dotazione di impianti per il recupero delle varie frazioni, dall’organico al vetro, alla carta, alla plastica. Questo fa si che i costi della raccolta differenziata continuino a restare elevati“. E che l’impegno crescente di cittadini e amministratori non si traduca, ad esempio, in una riduzione delle tariffe rifiuti che incentivi a fare sempre di più e meglio, pregiudicando anche il percorso verso i target al 2035 del 65% di riciclo dei rifiuti urbani (oggi siamo al 48%) e del 10% massimo di smaltimento in discarica (oggi al 19%).
Anzi, senza impianti l’aumento della raccolta differenziata rischia di diventare un vero e proprio boomerang. Come per l’organico. Nel 2021 la Sicilia ha più che raddoppiato le quantità esportate in altre regioni, passate da 40 a 91mila tonnellate, mentre Lazio e Campania hanno esportato rispettivamente il 14% e il 25% della raccolta. Con tutto quello che ne consegue in termini di maggiori costi ed emissioni per il trasporto. “Se oggi tutte le grandi aree urbane, come Roma, Palermo, Napoli o Catania, dovessero superare gli obiettivi minimi di raccolta differenziata – ha spiegato Fabio Costarella di Conai – noi le criticità non le rileveremmo solo sulla frazione organica, che sappiamo essere un problema trasversale a tutto il Centro-Sud”. Ma anche sulle altre frazioni, a partire dagli imballaggi, naturalmente.
Inadeguatezze territoriali che sarebbe stato compito del PNRR colmare, ma l’assegnazione tramite gara del fondo da 1,5 miliardi destinato agli enti pubblici, lamentano i comuni, rischia di lasciare fuori proprio i territori che hanno più fame di infrastrutture e servizi. Rispetto alle due linee d’intervento per la realizzazione di nuovi impianti “il Lazio, la Puglia e la Calabria non prendono un euro – ha detto Salvemini – ma la cosa più clamorosa è che su 554 istanze presentate ne sono state finanziate 28″. A bocca asciutta, almeno per il momento, anche Roma. “Abbiamo prodotto quattro progetti di impianti (due per la selezione della differenziata e due per il recupero dell’organico, ndr) e nessuno è stato finanziato – ha sottolineato l’assessore capitolino all’ambiente Sabrina Alfonsi – ma Roma senza impianti non va da nessuna parte. Come obiettivo, prima del termovalorizzatore, ci siamo posti quello di realizzare due nuovi impianti di digestione anaerobica per l’organico da 100mila tonnellate l’uno, che faremo. Se non con il PNRR con i fondi del dl aiuti. Non possiamo permetterci di non farli”.
Se i comuni cominciano a guardarsi attorno in cerca di nuove fonti di finanziamento, mentre il ministero garantisce che provvederà a richiedere una rimodulazione del PNRR per spostare ulteriori risorse sui progetti al momento esclusi, dal canto loro le associazioni delle imprese ricordano come la funzione di recupero dei gap territoriali di trattamento possa essere esercitata anche dai capitali privati, ma le crescenti incertezze sui tempi di rilascio delle autorizzazioni non fanno che disincentivare gli investimenti. “Se l’impiantistica è un problema, il comparto privato può risolverlo senza PNRR. Ma servono le autorizzazioni – ha ricordato il direttore generale di Assoambiente Elisabetta Perrotta – il tempo per il rilascio di un’autorizzazione va dai quattro ai sei anni, a seconda dell’impianto che si vuole realizzare. A livello imprenditoriale è un tempo enorme. Serve un rapporto di collaborazione con la pubblica amministrazione”.
Per chiudere il cerchio dell’economia circolare serve però anche garantire adeguata collocazione agli scarti della selezione e del riciclo, oltre che al residuo non differenziato, nel rispetto del target di smaltimento in discarica del 10% massimo al 2035. Altro fronte sul quale le regioni centro-meridionali, Lazio, Campania e Sicilia in testa, scontano pesanti ritardi. Roma, dal canto suo, punta a chiudere la partita entro il 2026 con l’attivazione del nuovo impianto voluto dal sindaco Roberto Gualtieri. “Il termovalorizzatore risponde proprio all’obiettivo UE di discarica – ha chiarito Sabrina Alfonsi – e alla necessità di chiudere gli impianti intermedi di cui siamo pieni, restituendo dignità alla gestione dei rifiuti di Roma”. E in più producendo elettricità e calore. “Il nostro Paese è povero di materia e di energia – ha ricordato Perrotta – la priorità sono gli impianti per il riciclo, ma non dobbiamo dimenticare che dal recupero energetico delle frazioni negative possiamo ricavare l’energia che serve a soddisfare i fabbisogni di tre milioni di famiglie“.