I comuni italiani fanno appello al Ministero per gli Affari regionali nel tentativo di scongiurare la batosta delle sanzioni per la mancata bonifica delle discariche abusive oggetto d’infrazione europea. In una lettera inviata al ministro Enrico Costa, il presidente dell’Anci Piero Fassino ha chiesto “la costituzione di un tavolo tecnico in sede di Conferenza Unificata finalizzato ad affrontare e risolvere la problematica relativa alla procedura di rivalsa rispetto alle sanzioni inflitte all’Italia dalla Corte di Giustizia europea“. Sul capo delle amministrazioni coinvolte nella procedura 2003/2077 pende infatti la terribile spada di Damocle dei “procedimenti di rivalsa”, strumento attraverso il quale il Ministero dell’Economia, di concerto con il dicastero dell’Ambiente, si rivale sui comuni per le sanzioni erogate ogni sei mesi dalla Commissione Europea per i ritardi nel completamento delle bonifiche.
Il meccanismo è stato introdotto con la Legge di Stabilità 2016, che all’art. 1 comma 813 precisa: “Il Ministero dell’Economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse”. In sostanza, a partire da gennaio 2016 e fino a quando le discariche non saranno bonificate, lo Stato rientrerà delle somme spese in sanzioni dando meno soldi ai comuni inadempienti.
I comuni, dal canto loro, non ci stanno (e non ce la fanno) a sobbarcarsi l’intero carico delle multe. Duecento i siti per i quali, il 2 dicembre 2014, la Corte di Giustizia dell’Ue aveva condannato l’Italia al pagamento di una sanzione forfettaria da 40 milioni di euro e di una penalità da 42, 8 milioni (200mila per ogni discarica di rifiuti non pericolosi e 400mila per quelle contenenti rifiuti pericolosi) da pagarsi ogni sei mesi fino all’esecuzione completa della sentenza. Fino cioè al completamento delle bonifiche. Secondo quanto comunicato lo scorso marzo dal ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti alla commissione Ambiente della Camera, allo scadere dell’ultima verifica semestrale (tra gennaio e febbraio del 2016) il conto delle discariche non a norma era sceso a 155, mentre ammontavano a 113 i milioni complessivamente versati a Bruxelles, 40 a titolo di sanzione forfettaria ed i restanti 73 in due tranche semestrali.
Un conto salatissimo, che il Ministero dell’Economia sta già provvedendo a girare ai comuni in ritardo, ripartendolo in base al numero e al tipo di discariche da bonificare, come previsto dalla Legge di Stabilità 2016. E ora che si avvicina la scadenza del terzo semestre, prevista per il prossimo 2 giugno, l’Anci corre ai ripari per evitare che il conto delle sanzioni, già salato, si trasformi per i comuni – affetti da cronica carenza di liquidità – in un vero e proprio bagno di sangue. “Una situazione grave ed insostenibile per i comuni colpiti dai succitati provvedimenti di rivalsa che – scrive Fassino – pur non essendo i soli responsabili, risultano comunque gli unici destinatari delle richieste di restituzione della sanzione comunitaria”. Un appello disperato, quello del presidente Anci, ad “accertare compiti, responsabilità e procedure, anche alla luce della disciplina legislativa statale e regionale” visto che “le responsabilità non possono restare ad esclusivo carico dei comuni”.
Tecnicamente, la titolarità delle operazioni di bonifica – e quindi la responsabilità in caso di omesso intervento o di ritardo – è in capo alle amministrazioni comunali nel cui territorio ricadano le discariche da risanare. Questo anche perchè in molti casi i gestori privati delle discariche non hanno accantonato fondi sufficienti alla gestione “post-mortem” dei siti, ignorando gli appelli dei comuni e lasciando alle singole amministrazioni l’ingrato compito di provvedere al risanamento. Quindi, nelle more delle azioni legali in danno dei privati reticenti, spetta agli enti pubblici attivare le procedure per le analisi di rischio, le caratterizzazioni, la messa in sicurezza o la bonifica dei siti. Procedure complesse oltre che costose, per le quali gli uffici tecnici dei comuni (soprattutto quelli di piccole dimensioni) non sono adeguatamente attrezzati, e che finiscono spesso per arenarsi nelle secche della burocrazia o si arrestano per mancanza di fondi. I ritardi nel frattempo si accumulano mentre le sanzioni, inesorabili, aumentano.