Rifiuti, l’antitrust rileva poca trasparenza e concorrenzialità

di Luigi Palumbo 02/07/2024

Troppi affidamenti in house senza motivazione, commistioni gestionali e performance non in linea con gli obiettivi ambientali: l’analisi dell’antitrust sulle relazioni territoriali in materia di servizio pubblico rifiuti. Assoambiente: “Radiografia a tratti drammatica, serve riforma ambiziosa”


A più di un anno e mezzo dall’entrata in vigore del nuovo testo unico dei servizi pubblici locali, che ha riordinato la disciplina degli affidamenti mettendo al centro i principi della trasparenza e della concorrenza, l’antitrust ha rilevato forti carenze su entrambi i fronti. Anche in materia di gestione del ciclo idrico e dei rifiuti urbani. È quanto emerge dalla ricognizione effettuata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sulle relazioni territoriali pubblicate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione sul proprio portale, fatta pervenire nei giorni scorsi alla Conferenza Stato-Regioni, all’ANCI e all’UPI. “Il portale sulla trasparenza dei servizi pubblici locali – chiarisce Luca Tosto di Assoambiente – ci permette oggi, più che in passato, di compiere una radiografia del comparto. Radiografia che, stando a quanto rilevato dall’AGCM, risulta a tratti drammatica“.

Proprio sul fronte della trasparenza, uno dei principi cardine del riordino operato dal decreto legislativo 201/2022, il documento firmato dal presidente dell’AGCM Roberto Rustichelli rileva infatti una “diffusa mancanza di informazioni”, si legge, “tanto più preoccupante in relazione a servizi centrali quali il servizio idrico e il servizio di gestione dei rifiuti“. “Gli enti generalmente non hanno dato conto delle azioni programmate per far fronte a eventuali discrepanze tra i risultati raggiunti e gli obiettivi prefissati dalla regolazione settoriale o dal contratto”, si legge, e “soltanto in limitati casi le ricognizioni hanno fornito analisi di benchmark in relazione ai costi e/o alla qualità del servizio”. In più, “è stata frequentemente riscontrata la mancata indicazione delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’affidamento del servizio alle società partecipate in house”.

“Scelte approssimative da parte degli enti locali – commenta Tosto – quando queste dovrebbero invece essere accompagnate e sostenute sempre da solide e valide motivazioni di carattere economico e sostanziale”. E invece, anche a seguito dell’irrigidimento operato dalla riforma, “proprio rispetto ai servizi di gestione dei rifiuti, l’Autorità ha riscontrato, per molti affidamenti disposti dai Comuni, la mancata indicazione, nei piani di revisione delle partecipazioni adottati ai sensi dell’articolo 20 del TUSPP, delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificassero il mantenimento dell’affidamento del servizio alle società partecipate in house”.

Non stupisce dunque che insieme a quello idrico, stando alla rilevazione dell’AGCM il settore dei rifiuti urbani risulti tra quelli che fanno registrare i “maggiori elementi di criticità relativi al concreto andamento della gestione”. “Particolarmente significativi”, si legge, “i dati, a tratti allarmanti, sulla raccolta differenziata” che “nei territori gestiti dalle società oggetto della ricognizione in molti casi – soprattutto nelle Regioni del Sud Italia e nelle Isole – si discosta in negativo dalla media di raccolta differenziata della Regione interessata, delle macro aree geografiche di riferimento, nonché dalla media nazionale (pari, nel 2022, al 65,16%) raggiungendo livelli minimi fino al 15,2%. In alcuni casi – prosegue il documento – le stesse ricognizioni hanno segnalato ulteriori circostanze di disservizio, in spregio della soddisfazione dell’utenza e del benessere della collettività di riferimento”.

Valutazioni, quelle dell’AGCM, che fanno il paio con i numeri diffusi di recente dalla Corte dei Conti nella relazione sugli affidamenti agli organismi partecipati, dalla quale “emergono, in particolare, per numerosità e consistenza gli affidamenti per fornitura d’acqua, reti fognarie, attività di gestione dei rifiuti e risanamento”. Secondo la Corte, su 18mila 821 affidamenti, per un valore di poco più di 18 miliardi di euro, ben 10mila 863 sarebbero affidamenti diretti. Numeri riferiti al 2021, quindi a prima dell’entrata in vigore del nuovo testo unico, ma stando all’analisi effettuata dell’antitrust sulle ricognizioni consegnate all’ANAC nell’arco dell’ultimo anno, lo scenario non sembra essere cambiato più di tanto.

Altro elemento di criticità particolarmente diffuso nei settori dell’idrico e dei rifiuti, rileva l’AGCM, è la “commistione tra le funzioni di regolazione, di indirizzo e di controllo, e quelle di gestione dei servizi, in virtù della partecipazione diretta detenuta dall’ente d’ambito nel capitale sociale del soggetto incaricato della gestione del servizio”. Un fenomeno che in diversi casi interessa anche le Regioni e che, secondo l’antitrust, rappresenta una violazione del vincolo di scopo “suscettibile di creare una situazione di pericolo idonea a distorcere le dinamiche di mercato“. “Sui servizi pubblici locali – chiarisce Tosto – il nostro paese ha diverse criticità di natura strutturale. Il testo unico è una legge di riordino e non una vera e propria riforma dei servizi. Visti gli esiti della ricognizione dell’AGCM sarebbe opportuno riaprire una riflessione sul rispetto sostanziale degli impegni assunti con il PNRR sul fronte della concorrenza. Il testo unico è un buon punto di partenza, ma occorre una riforma più ambiziosa“.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *