«I rifiuti prodotti in ambito domestico e, in piccole quantità, nelle attività “fai da te”, possono essere quindi gestiti alla stregua dei rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 184, comma 1, del d.lgs. 152/2006, e, pertanto, potranno continuare ad essere conferiti presso i centri di raccolta comunali». Lo scrive il Ministero dell’Ambiente in una nota di chiarimento per sciogliere i nodi emersi con l’entrata in vigore lo scorso primo gennaio della nuova classificazione dei rifiuti urbani introdotta dal decreto legislativo 116 che ha recepito le direttive europee su rifiuti e imballaggi contenute nel pacchetto economia circolare. La nota era stata annunciata nei giorni scorsi a margine di un incontro con i rappresentanti delle Regioni sugli effetti della nuova disciplina di legge e in particolare sulle criticità relative alla gestione dei rifiuti inerti derivanti da piccoli interventi di manutenzione, costruzione o demolizione, eseguiti direttamente dal conduttore o proprietario di un’abitazione.
Parliamo cioè dei rifiuti che produciamo eseguendo in casa piccoli lavoretti in modalità “fai da te”: piastrelle, pezzi di intonaco, calcinacci e così via. Fino al 31 dicembre scorso il loro conferimento nelle isole ecologiche era garantito dal decreto ministeriale dell’8 aprile 2008, ovvero dal regolamento del Ministero dell’Ambiente per la gestione dei centri di raccolta dei rifiuti urbani, al fine di evitarne la dispersione incontrollata e favorirne il corretto recupero o smaltimento. Il problema è che la nuova definizione di rifiuto urbano introdotta dal decreto legislativo 116 del 2020, quindi da una norma di rango superiore al decreto ministeriale del 2008, esclude esplicitamente dal novero dei rifiuti urbani, tra gli altri, proprio “i rifiuti da costruzione e demolizione”. Una previsione che in queste settimane ha visto gli operatori dividersi rispetto alla gestione di rifiuti di questa tipologia prodotti però da privati cittadini a seguito di “piccoli interventi”: Regioni come l’Emilia-Romagna hanno dichiarato lo stop dei conferimenti di inerti ai centri di raccolta, mentre altre, come il Veneto hanno continuato a garantirne il ritiro.
Posizione, quest’ultima, che il Ministero dell’Ambiente ha quindi deciso di fare sua. Pur riconoscendo che la nuova definizione di rifiuto urbano esclude i rifiuti da costruzione e demolizione, si legge nella nota, «si specifica, che tali rifiuti si riferiscono ad attività economiche finalizzate alla produzione di beni e servizi, quindi ad attività di impresa». La nuova direttiva Ue sui rifiuti, chiarisce il Ministero, «esplicita che “Sebbene la definizione di ‘rifiuti da costruzione e demolizione’ si riferisca ai rifiuti risultanti da attività di costruzione e demolizione in senso generale, essa comprende anche i rifiuti derivanti da attività secondarie di costruzione e demolizione fai da te effettuate nell’ambito del nucleo familiare» e quindi «ne ammette la gestione nell’ambito del servizio pubblico, se prodotto nell’ambito del nucleo familiare». A differenza della lettura data dalla Regione Veneto, però, il Ministero specifica che il conferimento deve essere accompagnato da «un Documento di Trasporto (DdT) che contenga tutte le informazioni necessarie alla tracciabilità del materiale», una previsione destinata quasi sicuramente a riaccendere le polemiche. Insomma dopo le comunicazione di ieri del MEF sulla Tari, un altro po’ di luce sugli effetti della nuova classificazione dei rifiuti urbani entrata in vigore lo scorso 1 gennaio. Chiarimenti che, tuttavia, non sono sufficienti a sciogliere tutti i nodi della nuova disciplina.