Crescono le quantità di rifiuti elettrici ed elettronici raccolte e avviate a corretto trattamento in Italia, ma non abbastanza da centrare gli ambiziosi obiettivi europei. Restano ancora troppi i Raee che ogni anno sfuggono alle maglie del sistema ufficiale e finiscono nel cosiddetto “canale informale”, fatto di trattamenti non ottimali e traffici illeciti. Questo il quadro che emerge dal dossier del Centro di Coordinamento Raee basato sui dati comunicati dagli impianti di trattamento iscritti al registro ufficiale. Stando al rapporto, sono 385.544 le tonnellate di rifiuti tecnologici complessivamente gestite nel 2017, in aumento del 6,8% rispetto all’anno precedente. Del totale trattato, il 78% pari a 300.707 tonnellate è rappresentato da Raee domestici e il 22%, pari a 84.837 tonnellate da professionali.
Sono 953 gli impianti dedicati al trattamento dei Raee, dei quali solo 58 specializzati nel recupero delle materie prime, mentre i restanti si limitano esclusivamente allo stoccaggio in attesa di essere trasferiti ad un impianto di riciclo. I dati sulla distribuzione territoriale degli impianti sottolineano ancora una volta il ritardo del Centro e del Sud rispetto al Nord, che non a caso è storicamente la macroarea del Paese dove si raccolgono più Raee: gli impianti sono infatti situati nel Nord Italia per 674 unità, nel Centro Italia per 136 e per 143 nell’area Sud e Isole. Il dato complessivo evidenzia un aumento di 13 impianti rispetto al 2016.
I dati raccolti permettono inoltre di monitorare la situazione del Paese alla luce degli obiettivi di raccolta stabiliti dalle norme comunitarie. E se con un tasso di ritorno complessivo del 41,19%, l’Italia manca solo di poco il target Ue al 2016 del 45% dell’immesso al consumo, a partire dal prossimo anno il gap da colmare è destinato a diventare ben più ampio. “Nel complesso – commenta Fabrizio Longoni, Direttore Generale del Centro di Coordinamento Raee – i risultati raggiunti sono positivi, ma i quantitativi originati dai Raee dovranno essere incrementati in modo significativo per raggiungere il target europeo di ritorno del 65% rispetto alle Aee immesse sul mercato, fissato nel 2019. L’impiantistica italiana è pronta ad affrontare la sfida di un incremento dei volumi da gestire, per cui si dovrà prestare particolare attenzione alle attività di chi ha il compito di effettuare la raccolta che per i Raee domestici non registra il contributo di altri se non i Sistemi Collettivi dei produttori di Aee”.
Ma dove finiscono i Raee domestici che non vengono raccolti e avviati a trattamento dai Sistemi Collettivi dei produttori? Stando ai dati, semplicemente spariscono dal radar. L’esiguo divario tra i numeri comunicati dai soggetti che si occupano della raccolta e quelli attivi sul fronte del trattamento, spiega infatti il CdC, permette di considerare come “estremamente bassi” i valori dei flussi di Raee che giungono direttamente agli impianti autorizzati e registrati senza avvalersi del sistema organizzato dal Centro di Coordinamento. “È quindi chiaro che alcuni quantitativi di rifiuti elettrici ed elettronici immessi sul mercato – osserva il CdC – non vengono correttamente identificati e sfuggono al sistema di gestione regolato dalla legge, andando ad alimentare il traffico illegale dei rifiuti, fonte di inquinamento ambientale e di distorsione economica”.
”L’incremento della raccolta che di anno in anno registra il Centro di Coordinamento Raee è un segnale positivo – commenta Giuseppe Piardi, Presidente di ASSORAEE – Il focus più importante deve riguardare i flussi di Raee che si generano ma non sono identificati correttamente e alimentano un’economia falsa e pericolosa. Gli investimenti e lo sviluppo tecnologico degli impianti che trattano correttamente e diligentemente i Raee negli ultimi anni sono stati ingenti. Il settore ha vissuto uno sviluppo che consente all’Italia di essere all’avanguardia nelle tecnologie di trattamento come ci chiede la normativa europea. Spetta a chi effettua la raccolta e soprattutto agli organi di controllo verificare che i Raee siano correttamente identificati per alimentare l’economia sana del Paese e non la criminalità ambientale”.